Babygirl di Halina Reijn
Recensione di Serena Verdone
Babygirl è un film che propone spunti sulle dinamiche di potere, sul desiderio femminile e sul ruolo dell’uomo in una relazione apparentemente sbilanciata. Alcune scene, come quella del rave, riescono a catturare con efficacia la tensione tra controllo e libertà, tra imposizione e scoperta.
Il film racconta la relazione tra Romy (Nicole Kidman), potente manager in carriera, e Samuel (Harris Dickinson), un giovane stagista che si presenta remissivo ma si rivela presto dominante. Al centro: il sesso, la sottomissione, la vergogna, il sentirsi vivi.
Durante il primo colloquio, Samuel sorprende Romy assumendo il controllo della conversazione con atteggiamenti ambigui: un misto di falsa timidezza e compiacimento. C’è un’eleganza studiata nei suoi silenzi, nei suoi sguardi troppo lunghi. Romy, invece, dovrebbe apparire imbarazzata, destabilizzata… ma non è del tutto credibile. Il suo imbarazzo sembra recitato, costruito, e il gioco tra i due – che dovrebbe fondare la tensione erotica – resta in superficie.
Samuel si compiace del proprio corpo, della sua magrezza, come fanno spesso gli uomini insicuri che giocano a sedurre senza rischiare. Inizia a trattare Romy come una bambina: le lascia “sorprese” come la cravatta piegata sulla sedia, piccoli gesti di possesso mascherati da romanticismo.
Il momento più autentico arriva durante una festa notturna, una sorta di rave. Romy è completamente fuori contesto: vestita troppo, rigida, estranea al corpo e al caos intorno a lei. Viene approcciata da uomini e donne.
Samuel la vede e, come se niente fosse, passa da una postura gay a un’eterosessualità dominante, trascinandola in pista. Le sfila la camicia in mezzo alla folla, per adeguarla a un ambiente dove tutti sono mezzi nudi. Solo allora, finalmente, Romy si scioglie. Balla con naturalezza.
Ed è proprio lì che lui si annoia. Appena lei smette di essere passiva, smette di avere bisogno della sua guida, lui la prende per mano e la porta via come in una scena del Tempo delle mele.
Samuel non vuole una relazione, né paritaria né consapevole. Vuole il controllo. Appena Romy esce dalla parte della sottomessa educabile lui perde interesse. La dominazione gli serve per specchiarsi, non per connettersi. Non è attratto da Romy libera, ma da Romy confusa, debole, in cerca di approvazione. Appena lei si riappropria del proprio corpo e del proprio piacere, lui si sente inutile. E sparisce.
