Horizon: An American Saga – Capitolo 2 di Kevin Costner, Recensione di Serena Verdone

Horizon: An American Saga – Capitolo 2 di Kevin Costner

Recensione di Serena Verdone

 

Dopo un primo capitolo introduttivo e dispersivo, Horizon: Capitolo 2 prova a dare maggiore sostanza alle storie già avviate. Kevin Costner continua a costruire il suo grande affresco sull’espansione verso Ovest, ma anche questa seconda parte sembra più un frammento di un racconto molto più grande che un film con un proprio equilibrio.

Il film riprende esattamente dove si era interrotto il primo. Una delle prime sequenze mostra un gruppo di soldati che raggiunge una carovana massacrata da un attacco indiano. È una scena silenziosa, quasi documentaristica, dove la macchina da presa si sofferma sui corpi, sui resti del campo e sulla disperazione muta dei sopravvissuti. L’intento è chiaro: Costner vuole mostrare il lato più crudo del periodo, senza eroismi.

La parte più solida del film è quella che coinvolge Frances Kittredge (Sienna Miller), rifugiatasi con i figli in un avamposto militare. La sua tensione costante, mentre aspetta notizie del marito e cerca di proteggere i bambini, è resa bene, con dialoghi asciutti e scene quotidiane che danno peso emotivo alla sua vicenda. Una in particolare – la cena improvvisata con altri rifugiati – mostra con efficacia il clima di attesa e paura.

Anche il personaggio di Juliette (Ella Hunt), che lavora in un saloon di una cittadina di frontiera, acquista spessore. In una scena notturna, difende una ragazza più giovane da un cliente aggressivo, attirando su di sé l’attenzione del boss locale. È uno dei pochi momenti in cui il film rallenta davvero per darci un personaggio, non solo una funzione narrativa.

Hayes Ellison, il personaggio interpretato da Costner, si vede poco e resta piuttosto defilato. In una scena centrale lo vediamo affrontare a cavallo un lungo tratto in solitaria attraverso territori pericolosi. Sono sequenze visivamente forti, ma senza dialogo, dove è il paesaggio a parlare. Suggestive, sì, ma possono anche risultare lente e scollegate dal resto.

Il problema principale del film è proprio questo: le varie linee narrative non si incontrano. Ognuna procede per conto proprio, senza che il film dia un senso di unità. Quando si arriva alla fine, ci si accorge che molte situazioni sono rimaste sospese – senza risposte né svolte. Non c’è un vero climax.

La regia è sobria, la fotografia fa un ottimo lavoro nel valorizzare gli spazi aperti, le montagne, i villaggi. Ma l’insieme rimane frammentato. Lo spettatore assiste a tanti piccoli film dentro un film più grande che ancora non si vede.