La valle dei sorrisi (The Holy Boy) di Paolo Strippoli
Recensione a cura di Serena Verdone
Paolo Strippoli porta a Venezia un horror che inquieta. La valle dei sorrisi ci porta in un paesino dove tutti sembrano felici, ma quella serenità si regge su un rituale oscuro: ogni settimana gli abitanti abbracciano Matteo, un adolescente queer, trasferendogli il proprio dolore: la comunità si alleggerisce, ma Matteo diventa vittima e figura quasi sacra allo stesso tempo.
Tra le pieghe del film emergono tre temi fortissimi. Il primo è proprio questo rimpallo della sofferenza: un gesto che dovrebbe essere affettuoso diventa violento e opprimente, segno di una comunità incapace di affrontare in prima persona. Anche Sergio, figura chiave, resta intrappolato in questa dinamica.
Il secondo riguarda il rapporto di protezione che Matteo riceve da due figure che non sono i suoi genitori biologici — un uomo che lo accoglie come un figlio e Sergio. Entrambi cercano di sostenerlo, ma lo fanno in modo ambiguo, trasformando la cura in controllo. Sergio, in particolare, si avvicina a Matteo con affetto, ma finisce per riversare su di lui i propri traumi, mostrando tutta la fragilità del ruolo adulto.
Il terzo tema è l’omosessualità: in un contesto già difficile, diventa l’elemento che spinge Matteo a guardare finalmente a sé stesso e non solo agli altri. È il passaggio che segna la sua vera crescita interiore.
Di forte impatto anche le scene di gruppo, a tratti si percepisce una certa artificialità nella recitazione, dettaglio che interrompe un po’ l’illusione scenica.
Nel complesso, un film mai scontato o banale.
