A Marlon e Marcello che hanno reso il cinema eterno, di Francesco Paolone

A Marlon e Marcello che hanno reso il cinema eterno

 

Francesco Paolone

 

Se Brando fu “fuoco”, Mastroianni fu “seta”. L’uno rivoluzionario del “metodo”, capace di rendere ogni emozione viva e imprevedibile. L’altro antieroe moderno, raffinato e ironico, interprete delle inquietudini dell’Italia del dopoguerra. Entrambi, a loro modo, hanno trasformato la recitazione in arte pura. Il 2024 ha celebrato il centenario della loro nascita. Un anno dopo, alcune riflessioni che vogliono riaccendere la memoria di due stelle che non appartengono solo al cinema, ma all’eternità.

 

La recitazione, nel suo significato più profondo, non è solo un’arte ma un atto di esplorazione dell’animo umano, uno specchio attraverso cui la società guarda sé stessa. In ogni sguardo, gesto o silenzio dell’attore si condensano le mille sfumature dell’essere: la bellezza e il dolore, il dubbio e il desiderio, la rabbia e la compassione, la solitudine e la speranza. È attraverso questa alchimia emotiva che il teatro e il cinema diventano strumenti capaci di scuotere le coscienze, raccontare l’identità collettiva e restituire dignità alla complessità umana. In questo orizzonte, pochi interpreti sono riusciti a toccare il cuore del mondo come Marlon Brando e Marcello Mastroianni. Il primo, con la sua forza brutale e viscerale, ha infranto le maschere dell’ipocrisia hollywoodiana per mostrare l’uomo nudo nella sua verità; il secondo, con la sua leggerezza malinconica, ha raccontato l’ambiguità del vivere con una grazia che sfiora la poesia. Due volti, due anime, due stili opposti ma complementari che hanno incarnato — come nessun altro — il teatro della vita.

 

Marlon Brando: il rivoluzionario del metodo

Nato a Omaha, nel Nebraska, nel 1924, Marlon Brando ha trasformato radicalmente la recitazione cinematografica. Portatore del “Metodo Stanislavskij” dell’Actors Studio di Lee Strasberg e allievo di Stella Adler, Brando ha abbandonato la recitazione teatrale enfatica per dare vita a personaggi interiorizzati, complessi, carichi di conflitto emotivo.

La sua interpretazione in Un tram che si chiama Desiderio, accanto a Vivien Leigh, è considerata un punto di svolta nella storia del cinema. Il suo Stanley Kowalski ruggisce sullo schermo con un’energia brutale e magnetica. Con il suo corpo inquieto e la voce rotta, portava sullo schermo la rabbia repressa, la fragilità mascherata da violenza, la bellezza perduta. In Fronte del porto, la sua celebre battuta — “Potevo essere un contendente, invece di un nessuno” — è diventata il grido universale del fallimento e della dignità negata. Nei suoi personaggi c’era il conflitto tra istinto e morale, tra conformismo e rivolta: era l’uomo moderno messo a nudo, senza difese. Un altro vertice assoluto della sua carriera è Il Padrino, dove diede vita a Don Vito Corleone. Con voce roca, gesti minimi e uno sguardo capace di dominare la scena più del dialogo, Brando rese immortale un personaggio che sarebbe potuto scivolare nello stereotipo. Invece, trasformò il boss mafioso in una figura epica e fragile al tempo stesso, incarnando il potere e la decadenza con una maestria che ha ridefinito per sempre la recitazione cinematografica. La sua carriera fu un susseguirsi di altre interpretazioni sorprendenti, ma una delle più emblematiche rimane quella in Apocalypse Now. Brando arrivò sul set in ritardo, in forte sovrappeso, senza aver letto il copione e con un atteggiamento imprevedibile che gettò nel panico la produzione. Eppure, proprio da quel caos nacque l’incredibile intensità del colonnello Kurtz: un personaggio enigmatico, disturbante, capace di incarnare l’orrore e la follia della guerra con una presenza scenica quasi ipnotica. Molti colleghi e registi hanno espresso parole di ammirazione: Elia Kazan lo descrisse come una forza naturale capace di scuotere lo spettatore come nessun altro. Francis Ford Coppola ricordò la sua capacità di trasmettere emozioni “con un solo sguardo”, sottolineando il potere magnetico della sua presenza. Martin Scorsese dichiarò che Brando “portò il realismo nel cinema”, segnando una frattura rispetto al passato. Robert Duvall ne sottolineò l’imprevedibilità, che rendeva ogni scena viva. Al Pacino lo definì “un miracolo” da osservare sul set. Steven Spielberg lo ha definito il più grande attore della storia del cinema. Johnny Depp ha riconosciuto in lui un modello assoluto di recitazione.

 

 

Marcello Mastroianni: l’eleganza della malinconia

Nato a Fontana Liri nel 1924, Marcello Mastroianni ha incarnato con raffinata naturalezza l’uomo moderno del dopoguerra italiano. Lontano dall’eroismo americano, Mastroianni rappresentava l’antieroe: ironico, malinconico, affascinato dalla vita e perso nei suoi dilemmi. Il sodalizio con Federico Fellini ha prodotto alcune delle pagine più alte della storia del cinema mondiale, su tutte La dolce vita e  . Mastroianni rappresentava la condizione umana con leggerezza e profondità, come chi osserva il mondo con un sorriso amaro. In 8½, è il regista in crisi, l’uomo che cerca sé stesso tra sogni, donne, paure e memorie. La sua malinconia non è mai disperazione: è consapevolezza del tempo che passa, dell’identità che sfugge, della realtà che si piega all’immaginazione. Mastroianni non cercava di dominare la scena, ma di abitarla con umanità, con misura, con grazia, possedeva una capacità rara: quella di essere al contempo ironico e struggente. Accanto ai capolavori felliniani, sono innumerevoli le sue prove più straordinarie. In Divorzio all’italiana Mastroianni mostrò tutta la sua straordinaria versatilità. Nei panni del barone Cefalù, uomo meschino e grottesco che sogna di liberarsi della moglie, riuscì a trasformare un personaggio moralmente ambiguo in una maschera indimenticabile di ironia e disperazione. La sua interpretazione, sospesa tra satira e umanità, valse un Oscar al film e consacrò definitivamente Mastroianni come uno degli attori più raffinati del panorama internazionale. In Una giornata particolare spogliò sé stesso del fascino da divo, scegliendo invece la fragilità, la dolcezza e la dignità di un uomo invisibile agli occhi della società. Una recitazione misurata e intensa, che ancora oggi rimane un modello di umanità e di verità artistica. Anche per Mastroianni le testimonianze di colleghi e registi sono unanimi: Sofia Loren, compagna di set in numerosi film, lo ricordò come il più grande attore con cui abbia mai lavorato, dotato di una “leggerezza profonda”. Federico Fellini affermò che “Marcello non recitava. Marcello era”, aggiungendo che con lui bastava “accendere la macchina da presa”. Pedro Almodóvar ha dichiarato di aver rivisto più volte 8½ per comprendere la sottigliezza della sua recitazione. Woody Allen ha detto che, se fosse stato americano, Hollywood lo avrebbe venerato quanto Brando. Daniel Day-Lewis e Timothée Chalamet hanno entrambi citato Mastroianni come fonte di ispirazione per la capacità di essere intensi restando sobri.

 

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Nel vasto universo della settima arte, pochi nomi brilleranno di luce eterna: Marlon e Marcello che hanno trasformato la recitazione da mestiere a forma d’arte, che hanno mostrato che un attore non deve solo interpretare, ma vivere il personaggio, plasmarlo, renderlo universale, che hanno saputo parlare all’anima dello spettatore con onestà e profondità, lasciando un’impronta indelebile nel cuore del cinema mondiale.

In un’epoca in cui l’apparenza spesso prevale sul contenuto, entrambi hanno dimostrato che la vera potenza dell’attore sta nella vulnerabilità, nella profondità del gesto minimo, nella capacità di dare corpo all’invisibile. Non si limitavano a interpretare un ruolo: lo vivevano, lo assorbivano, lo restituivano al pubblico con una verità disarmante. Ogni loro personaggio era lo specchio di una tensione più ampia: individuale e collettiva, psicologica e culturale. Per questo non bisogna mai smettere di ricordarli: perché senza i loro riferimenti, la recitazione e il cinema mondiale non sarebbero stati gli stessi, e la memoria collettiva sarebbe più povera di due universi fondamentali, diversi e complementari. E in un momento in cui il cinema sta cambiando, tra nuove tecnologie e linguaggi in continua evoluzione, non dobbiamo perdere di vista i riferimenti attoriali di Brando e Mastroianni: due fari che, con modalità diverse, hanno indicato la strada alla recitazione e continueranno a farlo per le generazioni future.