L’OTTAVO GIORNO, RECENSIONE DI CATELLO MASULLO

Foto di Catello Masullo (23 ottobre 2025): la regista Sabrina Varani

 

L’OTTAVO GIORNO, RECENSIONE DI CATELLO MASULLO

 BIO REGISTA

Sabrina Varani inizia giovanissima a lavorare sul set come fotografa di scena per poi diventare aiuto operatore e focus puller collaborando per 8 anni con molti importanti direttori di fotografia. Per far crescere la sua professione nel ’93 va in Francia dove vive e lavora per 4 anni iniziando la sua carriera di direttrice della fotografia collaborando con molti registi francesi e africani.

Tornata in Italia nel 1998, negli anni realizza la fotografia per autori quali Laura Muscardin (“Giorni” 2001), Alina Marazzi ( “Per sempre” 2005 e “Vogliamo anche le rose” 2007), Agostino Ferrente (“L’orchestra di Piazza Vittorio” 2006), Mario Balsamo (“Noi non siamo come James Bond” 2012) , Roland Sejko (“Anjia” 2013) Chiara Bondì e Isabel Achaval (“Las Leonas” 2022), Costanza Quatriglio (“Il cassetto segreto” 2024) continuando al tempo stesso a lavorare nel cinema di finzione, il cui ultimo lavoro è “L’albero” di Sara Petraglia, selezionato alla Festa del Cinema di Roma nel 2024.

Come autrice e regista realizza i documentari “Negri de Roma” (2002) “Riding for Jesus” (2011), “Pagine nascoste” (2017), oltre a numerosi documentari su commissione, prevalentemente su temi sociali e di genere tra cui “Mahila” (2018) e “Rwanda, il paese delle donne” (2020) e nel 2025 “L’Ottavo Giorno”.

 

 

Scritto da Gianni Vukaj e Beatrice Bernacchi
Organizzazione di produzione Roberta Franzoni
Fotografia e Suono Sabrina Varani
Montaggio e post- produzione Francesca Spinozzi
Color e titoli Mauro Vicentini
Musiche originali Lorenzo Tomio
Mix audio Francesco Tosoni
Regia di Sabrina Varani

con

 

Paul Ulmer
Luigi Spinalbelli
Fabrizio Salvati
Elio Alfonsi
Francesco Cardillo, in arte Vardel
Bernard Rehmus Slawomir
Padre Stefano Albanesi
Una produzione RETE BLU S.p.A.

      NOTE DI REGIA

Quando mi è stato chiesto di fare questo film, la prima cosa che mi è apparsa come condizione essenziale per tentare di raccontare questa marginalità è stata quella che si può riassumere nella parola “rispetto”.

Ho sentito fortemente l’esigenza di preservare la dignità delle persone in qualsiasi condizione fossero, senza cadere in un sensazionalismo che sentivo come estremamente negativo. Il mio lavoro doveva guardare chi ogni giorno incrociamo sulle nostre traiettorie cittadine ma che con un’ostinata negazione non vediamo. Mi sono sentita io stessa in prima persona parte di quella gente che distoglie lo sguardo, che evita di avvicinarsi, spaventata di entrare anche solo di passaggio nella zona di stazionamento di un senzatetto, quasi che respirare la stessa aria possa contaminarci.

Cominciando a guardare, conquistando un po’ alla volta qualche centimetro in più di vicinanza, ho cercato di superare con la mia telecamera quel disagio che provavo a sentirmi di violare uno spazio altrui che, seppure in strada, era la casa di un essere umano come me. Coltivando la relazione con i nostri protagonisti, avvicinandomi sempre più, le cose sono cambiate radicalmente e ho cominciato a vedere tutto in un’altra prospettiva, che visivamente si è tradotta in uno sguardo che si aggancia a queste persone e le osserva come il fulcro del movimento di una galassia delle miriadi di attività, più o meno sensate, della gente ordinaria.

Il loro quotidiano, spogliato dall’inessenziale e ridotto fino ad entrare in una valigetta o un bustone, le loro parole risignificate da una condizione di privazione e dalla perdita, mi sono sembrate spesso molto più vere e profonde di tutto quello che pretende di rappresentarci.

Mi sono seduta con loro, abbassando l’altezza della mia telecamera, fermandomi nei piccoli gesti che formano un quotidiano, cercando ciò che significa essere umani, arrivando lentamente alla consapevolezza di come la distanza tra l’essere dentro o fuori la società sia una questione di dettagli più o meno fortunati.

Intorno a noi, un luogo straordinario come piazza San Pietro mi ha dato la ricchezza di linee perfette e sipari quasi teatrali, la pregnanza di secoli di storia, la densità dell’anelito spirituale di masse di persone di tutti i tempi, rendendo con i suoi contrasti visivi ancora più forte questa esperienza.

Ancora una volta non posso che ringraziare il Cinema di regalarmi straordinarie opportunità di conoscenza altrimenti inaccessibili.

Sabrina Varani

Docufilm – 70’

 

Scritto da Gianni Vukaj e Beatrice Bernacchi Regia di Sabrina Varani

Nell’Anno del Giubileo, i protagonisti di questo racconto sono i senzatetto che vivono ai margini, con le loro storie, non così lontane dalle nostre, mentre sullo sfondo, un’umanità in cammino scorre placidamente, pronta a varcare la Porta Santa della Basilica di San Pietro. In questo dialogo continuo di luci e ombre, di caduta e riscatto, di fragilità e speranza viene varcata una soglia, quella del proprio presente, per cominciare un giorno nuovo: l’Ottavo.

 

NOTA: CANDIDATO AL PREMIO SORRISO DIVERSO – ROMA 2025

 

RECENSIONE DI CATELLO MASULLO:

Sabrina Varani è documentarista di vaglia. Il suo sguardo attento a farsi sorprendere da quanto accadeva davanti alla macchina da presa, e la paziente e vigile attesa perché questo avvenisse, ci restituisce un quadro nitido, empatico, palpitante, colorato e colorito di una realtà inimmaginabile. Quella dei “senza casa” che popolano il colonnato di San Pietro a Roma, attorno al Vaticano. Una comunità spontanea che trova accoglienza e assistenza da parte delle autorità religiose e civili.  Ricca di individualità inaspettate, in termini di dignità, di cultura, di umanità, di vivacità, di interesse e di cura del prossimo. Tutti in attesa de “l’ottavo giorno”, che possa segnare il rispetto sacrale per ogni essere umano. Un esempio concreto di politica sociale di altissimo livello. Un documento di elevato valore cinematografico, sociale, antropologico.

 

VALUTAZIONE SINTETICA: 7