Foto di Catello Masullo (16 ottobre 2025), da Sx: la moderatrice Alessandra De Luca, i due produttori, Teresa Saponangelo, Alessadro Aronadio, Edoardo Leo, il piccolo attore Javier Francesco Leoni, il vero Mattia Piccoli
PER TE, RECENSIONE DI CATELLO MASULLO
DALLA VERA STORIA DI MATTIA PICCOLI, GIOVANE ALFIERE DELLA REPUBBLICA,
E DEL SUO PAPÀ PAOLO
un film di Alessandro Aronadio
con
Edoardo Leo | Teresa Saponangelo | Javier Francesco Leoni
Giorgio Montanini | Eleonora Giovanardi
e con Guia Jelo
e con la partecipazione di Daniele Parisi
soggetto e sceneggiatura
Alessandro Aronadio | Ivano Fachin | Renato Sannio
prodotto da
Andrea Calbucci e Maurizio Piazza per Lungta Film
prodotto da
Massimiliano Orfei, Luisa Borella e Davide Novelli per PiperFilm
una produzione
PIPERFILM | LUNGTA FILM | ALEA FILM
in collaborazione con NETFLIX
AL CINEMA DAL 17 OTTOBRE 2025
MATERIALI STAMPA: https://bit.ly/Materiali_Stampa_PER_TE
distribuito da
OPERA REALIZZATA CON IL CONTRIBUTO DEL FONDO PER LO SVILUPPO DEGLI INVESTIMENTI NEL CINEMA E NELL’AUDIOVISIVO
PERSONAGGI E INTERPRETI
Paolo EDOARDO LEO
Michela TERESA SAPONANGELO
Mattia JAVIER FRANCESCO LEONI
Nicola GIORGIO MONTANINI
Rosa ELEONORA GIOVANARDI
Rosalia GUIA JELO
Dr. Giorgi DANIELE PARISI
CREDITI PRODUTTIVI
Regia ALESSANDRO ARONADIO
Soggetto e Sceneggiatura ALESSANDRO ARONADIO, IVANO FACHIN, RENATO SANNIO
Liberamente ispirato al libro UN TEMPO PICCOLO di Serenella Antoniazzi (Gemma Edizioni)
Fotografia ANDREA REITANO
Montaggio ROBERTO DI TANNA
Musiche originali SANTI PULVIRENTI
Scenografia MASSIMILIANO STURIALE, PIETRO SATIRO
Costumi CRISTINA LA PAROLA
Suono ADRIANO DI LORENZO
Sound Designer DARIO RAMAGLIA
Casting CHIARA POLIZZI
Organizzatore GIORGIO GASPARINI
Prodotto da ANDREA CALBUCCI e MAURIZIO PIAZZA per LUNGTA FILM
Una produzione PIPERFILM, LUNGTA FILM, ALEA FILM
In collaborazione con NETFLIX
Distribuzione PIPERFILM
Durata 115’
OPERA REALIZZATA CON IL CONTRIBUTO DEL FONDO PER LO SVILUPPO DEGLI INVESTIMENTI NEL CINEMA E NELL’AUDIOVISIVO
SINOSSI
Nel 2021 un bambino di 11 anni di nome Mattia Piccoli viene nominato Alfiere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella per “l’amore e la cura con cui segue quotidianamente la malattia del padre”.
Questo film racconta la sua storia e quella del papà Paolo che, poco più che quarantenne, lentamente comincia a perdere pezzi della sua memoria. Ma proprio mentre il mondo inizia a sfumare, lui sceglie di restare vicino a ciò che conta davvero, forte anche dell’amore della moglie Michela. Insieme al figlio intraprende un percorso fatto di quotidianità condivisa, risate improvvise e silenzi che parlano.
Una storia che celebra la potenza dell’amore oltre il tempo e la memoria.
NOTE DI REGIA
Appena ho letto il libro “Un tempo piccolo” ho deciso che, al contrario di come si fa abitualmente, non avrei voluto incontrare i veri protagonisti di quella vicenda. Perché a volte è più giusto modificare i fatti in modo che assomiglino più alla verità che alla realtà di una storia. E io sentivo che c’era una verità, nella storia della famiglia Piccoli, che travalicava la semplice realtà delle loro vite, e ci riguardava tutti: non c’è bisogno di una diagnosi per aver paura di dimenticare. E poi obbligava me, sempre troppo distratto dal futuro per soffermarmi sui ricordi, a guardarmi indietro e a fondere la mia memoria alla loro: la prima volta che mio padre mi ha fatto vedere “Rocky” insieme alla neve che imbianca la chiesa nel giorno del loro matrimonio, il tragicomico funerale di mia madre insieme alla battuta sulle caviglie detta veramente da Paolo il giorno del primo appuntamento con la sua futura moglie, e via così.
E poi il tono: in questo film la diagnosi doveva essere raccontata come un tragico scherzo, una dichiarazione d’intenti, nostra e della vita (che mescola tragedia e commedia nella stessa misura e, nelle sue vette più stupefacenti, nello stesso momento). Perché “Per te” racconta anche questo: due approcci diversi alla tragedia. Il primo, più leggero, di chi vive la commedia come modo per esorcizzare il dolore. L’altro, più concreto e pragmatico, ricorda che la risata è una medicina ma non può essere un’eterna via di fuga, e che a un certo punto le cose vanno attraversate, soprattutto se hai la responsabilità di avere accanto persone che ti vogliono bene.
Paolo e Michela nel film incarnano questi due approcci e durante l’arco della storia ognuno, credo, finisce per imparare qualcosa dall’altro. Di più, credo sia il film stesso a chiedersi: è giusto trattare un argomento così terribile provando ad usare toni più leggeri? In quest’epoca segnata da un perenne senso d’impotenza di fronte all’orrore che stiamo vivendo, ha ancora senso la commedia o è solo una sterile via di fuga? Io, che ho sempre provato a trattare temi seri in questo modo, negli ultimi tempi me lo chiedo sempre più spesso.
Sapevo che questo non sarebbe stato un film sulla malattia, ma sulla memoria e i suoi meccanismi imperscrutabili, sorprendenti. Il film stesso è intriso di memoria, dialoga col passato: le fotografie, le scelte musicali, il muto. La tragedia della vita raccontata come le comiche degli albori del cinema, dove tutto era tragicommedia: il pericolo, la violenza, il rischio di morire ad ogni fotogramma. Una cosa però mi aveva attratto particolarmente rispetto al vero protagonista.
Paolo, lo racconta Michela, era un marito e padre come tanti, con le sue disattenzioni e i suoi errori, la sua semplicità e i suoi egoismi, non la didascalica vittima senza macchia e senza paura che spesso si usa per raccontare storie come questa.
Prima che arrivi la sua condanna, Paolo si sente invincibile. È il ritratto della salute, ha un discutibile doppio taglio fuori tempo massimo, un orecchino, arrotonda – come il vero protagonista della storia – facendo il buttafuori di una discoteca più per lasciarsi una possibilità di distrazione nella vita notturna che per semplice bisogno economico.
È un gigante d’argilla che a un certo punto della vita si ritrova a dire due parole che, per lui e non solo, sono un tabù inavvicinabile. Ho paura. Fin da piccolo ti insegnano che non vanno mai pronunciate, se sei un maschio. Mai. Come le coppie che aspettano di vedere in faccia il neonato per decidere il nome, dopo aver visto una prima copia del film abbiamo deciso che non poteva che chiamarsi “Per te”. Altre due parole.
Queste però implicano un contatto, una dedica, una cura. Ne abbiamo così bisogno, in un’epoca in cui ci illudiamo di essere iperconnessi, ma in realtà non siamo mai stati più soli di così. Semplici come la storia di Paolo, Michela, Mattia e il fratello più piccolo Andrea. Una storia che non ha riempito le prime pagine dei giornali.
Ma, come scriveva Mattia Torre, “i veri eroi oggi sono proprio gli invisibili e silenziosi, sono quelli che si prendono cura degli altri, in una società dove tendenzialmente degli altri non frega più niente a nessuno”.
Alessandro Aronadio
NOTE DI MUSICA
La colonna sonora di Per te ha due volti e rispecchia fedelmente la duplice anima
del film, in equilibrio tra leggerezza e malinconia. Due diversi approcci alla storia
vera anche dolorosa, uno più lieve e ironico e l’altro più intimo e disarmato, si
riflettono anche nell’identità sonora del film, che alterna con eleganza brani originali
a scelte di repertorio senza tempo.
La musica originale di Santi Pulvirenti dialoga con una selezione raffinata di
canzoni del passato, creando un equilibrio armonico tra presente e memoria.
Breezin’ Along with the Breeze di Josephine Baker, Manteca di Dizzy Gillespie &
His Orchestra, Two Sleepy People di Fats Waller e My one and only love cantata
da Sting evocano epoche e atmosfere del passato conferendo al racconto un tono
sospeso e lieve. Attraverso questi brani, la colonna sonora accompagna e rafforza
la scelta narrativa audace di raccontare la tragedia con un tocco leggero, senza
mai sminuire la complessità emotiva.
Toni ironici e vitali si alternano con naturalezza alla partitura più intima e raccolta di
Santi Pulvirenti in un percorso musicale che segue lo sviluppo del racconto senza
mai risultare artificioso.
Sul finale esplode potente Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina che, con la sua
voce senza tempo, chiude il film con un’intensità rara lasciando allo spettatore un
respiro finale stracolmo di emozione.
Anna Collabolletta, Music Supervisor
BIOGRAFIE
ALESSANDRO ARONADIO
Laureato in Psicologia, dopo aver studiato regia a Los Angeles esordisce nel 2010 con “Due vite per caso”, selezionato al Festival di Berlino e poi in più di cinquanta festival, vincendo una quindicina di premi tra cui un Nastro d’Argento a Isabella Ragonese. Nel 2016 scrive e dirige la commedia indie “Orecchie”, che fin dal suo debutto alla Mostra di Venezia viene salutata come un cult, riscuotendo il consenso di pubblico e critica e rimanendo per quattro mesi nei cinema. Distribuito anche all’estero, il film vince diversi riconoscimenti tra cui tre premi alla Mostra di Venezia, il Ciak d’Oro Colpo di Fulmine 2017, più una nomination al Nastro D’Argento. Nel 2018 è la volta di “Io C’è”, irriverente commedia sul tema della religione. Il film ottiene due nomination ai Nastri D’Argento e tre nomination ai Premi Kineo. Nel 2022 presenta in prima mondiale “Era ora” alla Festa del Cinema. Il film, distribuito poi da Netflix, ottiene un successo immediato, diventando ben presto il film non in lingua inglese più visto al mondo. Sceneggiatore oltre che regista, Aronadio ha scritto film per altri registi tra cui “Che vuoi che sia” di Edoardo Leo, “Gli uomini d’oro” di Vincenzo Alfieri e “Una notte da dottore” di Guido Chiesa.
EDOARDO LEO
Laureato con lode in sociologia della letteratura nel 1999 alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza di Roma, Edoardo Leo, attore e regista, esordisce nel 1994 come attore e alterna ruoli da protagonista in grandi produzioni televisive e fiction (Un medico in famiglia, Operazione Odissea, Ho sposato un calciatore, Liberi di giocare, Il signore della truffa, Romanzo Criminale – la serie, nel ruolo di Nembo Kid), e gli impegni sul palcoscenico (da produzioni teatrali classiche come il Troilo e
Cressida poi versione teatrale di Birdy, fino a Il dramma della gelosia, tratto dalla pellicola di Ettore Scola per la regia di Gigi Proietti).
Al cinema è protagonista dei film Dentro la città di Andrea Costantini, Tutto in quella notte di Franco Bertini e Gente di Roma di Ettore Scola.
Nel 2010 debutta come regista con il film Diciotto anni dopo da lui scritto, diretto e interpretato. Per la sua opera prima, Edoardo Leo riceve la nomination ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento come Miglior Regista Esordiente. Il film vince ben 40 premi nazionali e internazionali. Tra i tanti, il Prix du public al Festival di Annecy e al Festival del Mediterraneo di Montpellier, Premio della critica e Premio Miglior attore a Maremetraggio di Trieste e al MagnaGrecia Film Festival. Inoltre, gli viene assegnato il Premio città di Firenze per aver vinto tutti i 4 Festival del circuito N.I.C.E. (Seattle, San Francisco, Mosca e San Pietroburgo). Per la stessa pellicola, nel luglio del 2011, vince il premio AGE per la sceneggiatura, premio dedicato alla memoria del grande sceneggiatore Agenore Incrocci.
Partecipa a due successi televisivi: la coproduzione internazionale Titanic Blood and Steel di Ciaran Donnelly, poi con Claudio Amendola in Dov’è mia figlia?, campione di ascolti su Canale 5. A marzo 2012, Edoardo Leo esordisce a teatro al fianco di Ambra Angiolini nello spettacolo prodotto da Marco Belardi Ti ricordi di me?, scritto da Massimiliano Bruno e diretto da Sergio Zecca, sold out in tutta Italia.
Insieme a Bova, Gassmann, Placido, e Papaleo è uno dei protagonisti del film di Massimiliano Bruno Viva l’Italia e poi dell’ultimo film di Maurizio Ponzi Ci vediamo a casa. Torna dietro la macchina da presa per Buongiorno papà, commedia che scrive con lo stesso Bruno e che interpreta con Raoul Bova e Marco Giallini. Nel 2014 è protagonista della nuova commedia targata Fandango e Groenlandia Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, che diventerà poi una trilogia dato il successo di critica e pubblico, del film di Claudio Amendola La mossa del pinguino e della versione cinematografica di Ti ricordi di me? da lui co-sceneggiato con Paolo Genovese ed Edoardo Falcone per la regia di Rolando Ravello.
Conduce il concerto del Primo Maggio di Roma, la lunga maratona musicale progettata da Marco Godano. Nel 2015 realizza il suo terzo film da regista Noi e la Giulia, tratto dal romanzo Giulia 1300 e altri miracoli di Fabio Bartolomei, prodotto dalla IIF di Fulvio e Federica Lucisano e distribuito da Warner Bros. Il film vince il David Giovani e il David per il Miglior attore non protagonista (Carlo Buccirosso), il Ciak d’Oro al Miglior Cast e per la Miglior Commedia, Nastro d’Argento per la Miglior Commedia e il Miglior attore non protagonista (Claudio Amendola), il Globo d’Oro della Stampa Estera e il Premio Flaiano.
Dopo aver recitato nei film Loro Chi? di Francesco Miccichè e Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, torna dietro la macchina da presa per Che vuoi che sia, suo quarto film da regista. Nel 2017 torna in sala con Smetto quando voglio Masterclass, secondo capitolo della saga diretta da Sydney Sibilia, e con Smetto quando voglio – Ad Honorem che conclude la trilogia.
Da qualche anno porta in giro per l’Italia il suo reading Ti racconto una storia, una serie di storie, articoli raccolti nel tempo e improvvisazione, con accompagnamento musicale di Jonis Bashir. Con l’Orchestra Giovanile di Roma rilegge la fiaba Pinocchio, nello spettacolo Ti racconto una storia…anzi due!, adattamento della celebre favola di Collodi, letture accompagnate da un’orchestra sinfonica, rappresentata alla Casa del Jazz di Roma e all’Auditorium, in onda su Rai 2 a gennaio 2019. Ha condotto al Festival di Sanremo 2018 DopoFestival…tanto siamo tra amici.
A marzo 2018 è nelle sale Io c’è, basta credere, diretto da Alessandro Aronadio e che ha co-sceneggiato, subito dopo è sul set di Non ci resta che il crimine, diretto da Max Bruno, uscito a gennaio 2019.
A giugno 2019 è sul set de La Dea Fortuna, insieme a Stefano Accorsi, diretto da Ferzan Ozpetek, in sala a dicembre dello stesso anno.
È sua la voce di Timon nel remake de Il Re Leone, in uscita ad agosto 2019. Nell’autunno 2019 è su Rai Uno nella serie in 3 serate Ognuno è perfetto, regia di Giacomo Campiotti, bellissima avventura, insieme a dei ragazzi con la sindrome di down e nelle sale a novembre nell’opera seconda di Vincenzo Alfieri, Gli Uomini d’oro. Seguono il film Ritorno al crimine, sequel di Non ci resta che il crimine, Lasciarsi un giorno a Roma, suo quinto film di regia, in coproduzione con la Spagna, e una partecipazione al film di Claudio Amendola Cassamortari e in C’era una volta il crimine di Massimiliano Bruno. Realizza e coproduce il docufilm Luigi Proietti detto Gigi. È poi diretto da Gianni Zanasi in War, da Alessandro Aronadio in Era ora e da Ivano De Matteo in Mia, per il quale è premiato con il Globo della stampa estera 2023.
Seguono, scritti e diretti con Massimiliano Bruno, i film a episodi I migliori giorni e I peggiori giorni, il film L’ordine del tempo di Liliana Cavani, tratto dal libro di Carlo Rovelli. Nel 2024, dopo un lungo tour teatrale col suo spettacolo, Ti racconto una storia, torna sul set di 30 Notti con la mia ex, diretto da Guido Chiesa, e di FolleMente con la regia di Paolo Genovese. A novembre 2024 esce al cinema Non sono quello che sono da lui scritto, diretto e interpretato, già presentato al Festival di Locarno. Il film è una trasposizione moderna di The tragedy of Othello di Shakespeare, che l’autore ha presentato anche in un tour di masterclass in diverse Università italiane.
TERESA SAPONANGELO
Attrice di due mari, nata nella paterna Taranto, cresciuta nella materna Napoli, Teresa Saponangelo si è laureata al Dams di Roma. La sua carriera è partita dal teatro che non ha mai abbandonato, diretta negli anni da Toni Servillo, Mario Martone, Luca Guadagnino, Giorgio Barberio Corsetti, Francesco Felli, Valerio Binasco, Antonio Capuano. Dopo aver recitato in fiction e film tv di qualità, ha debuttato nel cinema nel 1994 con “Il verificatore” di Fabio Incerti. E’ stata poi diretta, tra gli altri, da Peter Del Monte (“Compagna di viaggio”), Maurizio Fiume “Isotta”), Paolo Virzì (“Ferie d’agosto”, “Tutta la vita davanti”), Silvio Soldini (“Le acrobate”), Sergio Rubini (“Tutto l’amore che c’è”), Scimone e Sframeli (“Due amici”), Valia Santella (“Te lo leggo negli occhi”), Cristina Comencini (“Bianco e nero”), Ascanio Celestini (“La pecora nera”), Pippo Mezzapesa (Il paese delle spose infelici”), sempre indossando i personaggi con misurata naturalezza.
E’ stata spesso protagonista del peculiare cinema di Antonio Capuano da “Pianese Nunzio, 14 anni a maggio” (1995) e “Polvere di Napoli” (1997) fino a “Il buco in testa” (2020) per il quale ottiene l’anno dopo il Nastro d’Argento. E con Capuano torna a lavorare anche in “L’isola di Andrea” che sarà presentato in anteprima fuori concorso alla 82. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Nel 2022 interpreta l’autobiografico “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino nel ruolo della madre del regista e grazie alla sua folgorante interpretazione riceve il David di Donatello e a giugno il Nastro d’Argento. Nel 2023 è interprete di “Nata per te” di Fabio Mollo e “I limoni d’inverno”, opera prima di Caterina Carone. Nel 2025 sarà al cinema con il commovente “Per te” di Alessandro Aronadio al fianco di Edoardo Leo e nel 2026 nel nuovo film diretto e interpretato da Rocco Papaleo “Il bene comune”.
NOTA: CANDIDATO AL PREMIO SORRISO DIVERSO, ROMA 2025
RECENSIONE DI CATELLO MASULLO: Alessandro Aronadio con il suo coraggio ha contagiato i produttori nel fare un film sull’Alzheimer, che per un prodotto commerciale che deve convincere gli esercenti è come la kriptonite per Superman. Ci riesce grazie alla leggerezza dei toni di commedia che gli sono congeniali e con i quali costruisce un film che si guarda con piacevolezza, con il sorriso, ma anche con la consapevolezza che si tratta di una cosa seria che può capitare ad ognuno di noi. Soprattutto nella prima parte il film è divertente e strappa più di una risata (la scena del funerale condotto da un prete anziano non molto sul pezzo… è da antologia, le musiche sono spiritose, i toni decisamente da commedia). Le interpretazioni sono davvero notevoli. Su tutte quelle di Edoardo Leo, capace di una mimica del volto e un linguaggio del corpo da premio Oscar, frutto di una preparazione lunga e meticolosa, basata su ricerche, consulenze scientifiche, esperienze dirette. Non sono da meno Teresa Saponangelo e Giorgio Montanini, sempre una certezza. E la sorprendente prova attoriale del piccolo Javier Francesco Leoni, alla sua prima apparizione sullo schermo. Numerosi i momenti di alleggerimento e di ironia perfino sul tema sensibile, come la storiella che Montanini racconta al fratello, quando gli rivela il suo male: “La sai quella del vecchio che va dal dottore? Il dottore gli fa: ho due brutte notizie da darle: lei ha il cancro, e poi ha anche l’Alzheimer. Il vecchio commenta, ah, per fortuna non ho il cancro!”. Un film sapido e divertente, quindi, ma anche con momenti di commozione intensa. Da non perdere.
Curiosità, ho chiesto al regista: “Alessandro, Montanini ad un certo punto dice al fratello (Edoardo Leo, ndr.), che la paura più grande è di restare solo. In effetti è quello che in genere accade a chi si ammala gravemente, viene isolato, quasi per paura di contagiarsi con il male. Con questa storia sembri suggerire il contrario. Il Protagonista non solo è avvolto nell’amore dei suoi cari, come era da attendersi, ma trova anche l’insospettabile solidarietà del suo antipaticissimo dirimpettaio, che non lo salutava mai. Ti è venuto dalla storia reale? Perché Buster Keaton?”. La risposta di Alessandro Aronadio: “non conosco i vicini di casa. È stata una invenzione. Ci ha costretti a guardarci indietro. Siamo troppo distratti dal futuro. I ricordi nostri sono sovrapposti a quelli della famiglia reale e non li so più distinguere. Storia universale. L’idea che ci vogliono raccontare sull’uomo che inciampa è che non deve essere inquadrata, deve restare fuori campo. Io credo invece che c’è ancora molta umanità, noi ce l’abbiamo nel DNA. Il nostro prendersi cura dell’essere umano, anche il vicino antipatico. Non è buonismo, ma il contrario del cinismo. Buster Keaton, la storia si vive tra tragedia e commedia. Buster Keaton per contratto era costretto a non ridere e a rischiare la vita ad ogni fotogramma. Si ride di questo. Un film girato 100 anni fa e uno adesso, è la potenza del cinema. Il corto circuito, si trova a rischiare la vita con una tenerezza ed il senso del tragico che mi ricordava le scene di Buster Keaton, che sono violenza allo stato puro. Un bel modo di raccontare il crinale tra tragedia e commedia”.
VALUTAZIONE SINTETICA: 8
