QUANDO IL CINEMA È UNA FESTA
Catello Masullo
La Festa del Cinema di Roma, nata come “Festa”, poi tramutata per qualche edizione in “Festival”, arrivata alla ventesima edizione assume sempre di più una sua configurazione specifica. Abbandonata definitivamente la “ossessione” delle anteprime mondiali, tipiche dei grandi Festival, che gli consente di riproporre capolavori da Cannes e da Venezia, e i migliori film della cinematografia mondiale, non ancora distribuiti in Italia, si rivolge sempre di più al grande pubblico romano, e non solo. Questo anno, a dire il vero, ci sono state meno eccellenze assolute e un po’ più di film solo “buoni”, di qualità media. Ma è stata comunque una bella Festa. Propongo di seguito alcuni flash delle opere che mi hanno colpito di più. A cominciare dai due film scelti per completare il programma della stagione 2025-2026 del Cinecircolo Romano. Entrambi italiani, a conferma della particolare attenzione e dalla notevole capacità di selezione della Festa per i prodotti Nazionali. “Cinque Secondi”, il miglior film di sempre di Paolo Virzì, capace di analizzare un dolore profondo, che sprofonda il protagonista in un abisso, fino a mettere in discussione perfino la sua voglia di sopravvivere, e trasformarlo, piano piano, in una lenta e dolorosissima marcia di riemersione, fino a scorgere (forse) uno spiraglio di speranza. “la Vita va Così”, di Riccardo Milani, che continua il “Metodo Milani” di girare per il nostro paese a raccontare le varie realtà regionali, non troppo illuminate dai riflettori della settima arte, mescolando attori professionisti di vaglia, con una maggioranza di non attori del posto. Con risultati strabilianti. Su tutte la interpretazione di Virginia Raffaele, che dopo essere stata costretta da Milani a imparare uno splendido abruzzese per il film precedente, “Un Mondo a parte”, questa volta continua a sorprendere andando a scuola di sardo, dove in pochissimo tempo è di nuovo diventata la prima della classe. Nota particolare ai due film che si sono aggiudicati il Sorriso Diverso Roma Award, la cui Giuria ho ancora una volta avuto l’onore di presiedere: miglior film straniero a “Miss Carbòn”, di Agustina Macrì, con sguardo poetico e realistico, il film restituisce voce e visibilità a chi troppo spesso resta nell’ombra, raccontando la forza di una persona che, sfidando pregiudizi e limiti imposti, conquista il diritto di essere sé stessa e di lavorare con orgoglio. Un’opera che unisce impegno civile ed emozione autentica, capace di mostrare che la vera luce, anche tra la polvere del carbone, nasce dal coraggio di vivere la propria verità. Miglior film Italiano a: “Malavia”, di Nunzia De Stefano, indaga -nei toni della “fiaba sociale”- l’adolescenza “diversa” del protagonista, il suo rapporto con l’amata madre e con la comunità che lo circonda. Uno sguardo attento alle contraddizioni e tentazioni del contesto e al contempo aperto alla speranza di un riscatto singolo e collettivo sull’onda di un sogno condiviso. Il film esalta la luce che si sprigiona dalla purezza salvifica di un amore invincibile tra madre e figlio, che tutto vince.
Molte le altre punte di eccellenza della Festa di Roma, che festeggiano adeguatamente la ventesima edizione. “L’Oeuvre Invisible”, di Avril Tembouret e Vladimir Rodionov, geniale, impostato come un thriller, tiene lo spettatore in sospensione meglio dei film di Hitchcock. Sorprende ad ogni snodo narrativo ed è zeppo di colpi di scena. Cinefilo all’ennesima potenza. Divertente, coinvolgente e avvincente. Irresistibilmente esilarante. Perfetto in ogni reparto. “Dracula”, di Luc Besson, un vampiro romantico, perdutamente innamorato di sua moglie che viene uccisa in giovanissima età, talmente da ricercarla senza soste per 400 anni. Un film sontuoso, ricchissimo, luminoso. Di Confezione superlativa, con attori in grandissima forma, diretti magnificamente, scena dopo scena, passo dopo passo. “Glenrothan”, di Brian Cox, esordiente alla regia, a 79 anni e 244 film da attore, costruisce un film emozionante, denso di sentimenti e di passioni, dalle atmosfere deliziosamente crepuscolari, ritmo perfetto, che non cala mai e tiene lo spettatore in perenne sospensione, una messa in scena impeccabile, attori insuperabili, battute fulminanti, dialoghi spumeggianti ed ironici, come duelli di fioretto, musiche da brivido che ti fanno venire gli occhi lucidi, silenzi che parlano e comunicano più dei dialoghi. “& Sons”, di Pablo Trapero, film di rara sensibilità e acutezza nell’analisi delle dinamiche familiari, che arriva a toccare le corde profonde dell’animo. “Alla Festa della Rivoluzione”, di Arnaldo Catinari, film significativo, visivamente portentoso, di grande accuratezza, ben scritto, diretto ed interpretato. “Good Boy”, di Ben Leonberg, curiosamente questo film, film di apertura della parallela (e da questo anno separata, oltre che autonoma) rassegna ALICE NELLA CITTA’, ha lo stesso identico titolo di un film della Festa del Cinema di Roma, “Good Boy”. Questo è un film visto e, soprattutto, sentito con i sensi di un cane, molto più acuti di quelli di un essere umano. Il film ci fa vedere perfino incubi e allucinazioni del cane protagonista, che si chiama Indy (è il cane del regista). Il cane vede perfino apparire anche un suo doppio nelle sue fantasie/allucinazioni. Un film adrenalinico, incalzante, con una suspence da cuore in gola, magistrale nell’alternare colpi di scena veri e falsi, e nel dosare le atmosfere. La recitazione del protagonista assoluto, il cane Indy, è a dir poco strepitosa, da premio Oscar, è il Robert De Niro dei cani, con un linguaggio del corpo e, soprattutto, degli occhi, impareggiabile, fatto di piani di ascolto, di timori, di incertezze, di titubanze, di decisioni decisive. Un film per cinefili e per cinofili. “Good Boy”, di Jan Komasa, è nel palmares dei vincitori della XX edizione della Festa del Cinema di Roma, grazie alla convincente interpretazione del giovane attore Anson Boom, cui è stato attribuito il Premio Vittorio Gassmann per Miglior Attore. Il film è capace di mettere subito lo spettatore fuori della zona di conforto, con atmosfere e tematiche che ricordano quelle del grande Stanley Kubrick di “Arancia Meccanica”. Buona la suspence. Attori di gran livello. Confezione impeccabile. “Hedda”, di Nia Da Costa, un film in costume sontuoso, di confezione superlativa, con attori di grido ed una storia intrigante, di potere e di sesso, ma anche di spregiudicatezza e di stravaganza. “Homo Sapiens?”, di Mariano Cohn e Gastòn Duprat, cinema originalissimo che fa sua la lezione degli antichi romani del “castigat ridendo mores”, che sono, poi, i canoni della grande commedia all’italiana, che fa ridere, anche molto, ma fa anche pensare e mette alla berlina i vizi, spesso con l’ingrediente segreto di un pizzico di cattiveria ben assestata. “Il Falsario”, di Stefano Lodovichi, una storia intrigante, rocambolesca, avventurosa, picaresca, colorata e colorita, spumeggiante. Di grande ritmo. Molto ben congegnata. Con interpreti brillanti e impeccabili (su tutti un sempre più carismatico Pietro Castellitto). “Illusione”, di Francesca Archibugi, un film che rasenta la perfezione in ogni comparto ed in ogni dettaglio, con interpreti di livello, splendidamente diretti, ed una confezione di tutto rispetto. Solleva, tratta e racconta temi di sempre bruciante attualità, come la prevaricazione, la violenza, la mancanza di rispetto e di considerazione degli uomini verso le donne. “It Was Just an Accident”, di Jafar Panahi: fatemi dire, prima di tutto, che aver potuto parlare di nuovo con Jafar Panahi a tu per tu, mi ha allargato il cuore. Dopo che era stato condannato a non fare più film per 20 anni e dopo essere stato in carcere per lunghi anni, solo per la sua ostinazione di voler continuare a fare l’unico mestiere che conosce, fare film, non mi è parso vero. La Festa di Roma ci ha regalato la anteprima italiana del film che ha vinto, meritatamente, la Palma d’Oro a Cannes 2025. Un film potente ed impeccabile. Analisi acutissima dell’impatto devastante, distorcente, modificante, stravolgente, dilaniante degli inumani, brutali metodi repressivi del dissenso messi in atto da parte del governo iraniano. Confezione e concatenazione drammaturgica magistrali. “Le mille luci di Antonello Falqui”, di Fabrizio Corallo, un film documentario da portare nelle scuole cinema, per insegnare agli aspiranti registi come si fa a condensare in meno di un’ora 50 anni di spettacolo e di arte ai massimi livelli mondiali, che nessun paese ha mai eguagliato. Capolavoro assoluto. “Nouvelle Vague”, di Richard Linklater, filmare l’atto creativo di fare un film finisce con il diventare il desiderio o la meta di ogni cineasta. Richard Linklater non fa eccezione e ci regala una chicca imperdibile, per cinefili incalliti e anche per comuni spettatori interessati. “Per Te”, di Alessandro Aronadio, un film sapido e divertente, ma anche con momenti di commozione intensa. “The Tings you Kill”, di Alireza Khatami, meritato il Premio alla Migliore Sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, ove si avverte, potente, la qualità della scuola iraniana di cinema, notoriamente capace di creare storie ed intrecci davvero degni di nota. Questo film ibrida e gioca con i generi, passando con disinvoltura e mano felice dal noir al thriller psicologico, dall’onirico al sociale, al simbolico. Capace di tenere lo spettatore in sospensione per l’intera durata del film, con continui colpi di scena negli snodi narrativi. Con un grande finale, che non si dimentica. “Wild Nights, Tamed Beasts”, di Tony Wang, meritato Premio alla Regia alla cinese Wang Tong, che alla sua opera prima fa subito centro e convince la Giuria della XX Festa del Cinema di Roma, presieduta da Paola Cortellesi (che di opere prime se ne intende…). Opera ambiziosa, che ci restituisce il mistero e l’ambiguità di una società cinese sempre più popolata e sempre con più contraddizioni e mancanza di senso della vita. “La Diaspora delle Vele”, di Francesca Comencini, in soli 60 minuti di documentario rende viva e palpitante una rassegna di testimonianze, di emozioni e commozioni, di nostalgie struggenti e di racconti coinvolgenti. “Roberto Rossellini – Più di una Vita”, di Ilaria De Laurentiis, Andrea Paolo Massara, Raffaele Brunetti, ha meritato il Premio del Pubblico della XX Edizione della Festa del Cinema di Roma. Geniale la struttura: solo ed esclusivamente materiale di repertorio (in parte inedito), nessuna voce narrante (alcuni testi di lettere o dichiarazioni, quelli originali, vengono recitati magistralmente da Sergio Castellitto, Kasia Smutniak, Isabella Rossellini, Tinto Brass, Vinicio Marchioni, Pierluigi Gigante, Bertrand Chaumeton, Jean Herman, Silvia D’Amico, Beppe Cino). Mirabile la scelta degli elementi significativi, che in soli 86 minuti ci danno un ritratto completo di un gigante del cinema e della cultura mondiali.
