MARTIN EDEN : incontro  con PIETRO MARCELLO e MAURIZIO BRAUCCI 

MARTIN EDEN : incontro  con PIETRO MARCELLO e MAURIZIO BRAUCCI  – Casa del Cinema 9 dicembre 2019

Resoconto a cura di Rossella Pozza e Catello Masullo

Moderatore : Romanzo conosciuto e complesso di Jack London.

Regista : Il libro mi è stato regalato più di 20 anni fa da Maurizio, quando avevo 21 anni. E’ un libro che deve essere letto dai giovani. Studiavo ancora pittura. Il libro mi colpì per il riscatto dalla miseria culturale. Lavoravamo su un altro progetto. Stavamo verso Capo Miseno e decidemmo di fare Martin Eden. Che abbiamo anche prodotto. Marcello ha fatto il grosso del lavoro. Da 600 pagine ridotte a 250. Io non ho una grande fiducia nella scrittura. La scrittura e’ un’opera incompleta. Il cinema si fa con maestranze e fondi alle spalle. Mi sono affidato a lui. E’ lui lo sceneggiatore. Io ho lavorato sul set e lui sulla scrittura.

Maurizio Braucci (sceneggiatore): L’eletto che segna in modo radicale il tuo intervento. Che e’ la decisione di ambientare la storia nei tuoi luoghi.

Reg : Noi non conosciamo niente della cultura americana. Non abbiamo l’oceano. Abbiamo il Mediterraneo. Carlo Levi e Pasolini. E quindi il nostro Martin Eden e’ diventato un po’ campagnolo. Abbiamo pensato a Napoli che ha il porto. Volevamo usarlo come una sorta di archetipo. La parabola di M.E. si poteva realizzare in qualsiasi città del mondo. Riscatto di un ragazzo che poi diventa vittima dell’industria culturale. Già quando fu pubblicato il romanzo fu criticato. Il film è fedele al romanzo.

Braucci : E’ stata un bella sfida. Eravamo intimiditi dalla grandezza del personaggio e  della storia. Abbiamo scoperto che molti hanno letto il romanzo da giovani… La memoria funziona in un certo modo, la memoria del libro e’ parziale. Si ricorda di più il melodramma dell’amore borghese. Il contesto storico cruciale nel libro e’ reso in modo molto sintetico. Quando rompe con la fidanzata è perché ha preso idee radicali. A Venezia una giornalista ha detto: “Mi è piaciuto di più il film, ma perché ci avete messo dentro Spencer e i socialisti? Mentre ci sono nel libro. Credo che il film restituisca l’essenza del film. Di fronte ad un autore come Jack London hai tanta sfida nel metterci le mani. London ha fatto tante professioni. Come lo stalinismo. L’industria culturale. Il nostro approccio e’ stato artistico. Le cose che sono nel libro appartengono anche alla vita di Jack London. Ne “Il ritratto di Dorian Grey”,  Wilde fa il ritratto di se stesso. London fa lo stesso. Anticipa la sua morte per logoramento da sfruttamento industriale. Edmondo Peluso, comunista napoletano, amico di Jack London, era seguace di Proudhon e del partito comunista. Aveva scritto che London aveva perso di vista la sua causa socialista. Ci siamo trovati implicati in un romanzo che era molto vasto. E’ stato un lavoro molto complesso. Sono 46 capitoli di cui solo gli ultimi 6 dedicati al successo. Abbiamo affrontato tematiche culturali vastissime.

Reg : Abbiamo dovuto rinunciare anche ad alcune delle scene scritte, che erano circa 200 pagine. Aspetto produttivo enorme. Il mio primo approccio con il circo del cinema. Non abbiamo mai girato nelle comfort zone. Abbiamo sempre sperimentato. Si lavorava insieme. Ma sapevo che il problema andava risolto sul set, lavorando sui dialoghi anche con  gli attori. Sono pochi i registi come Hitchcock e Melville, che sono riusciti a controllare la scrittura dall‘inizio alla fine. Quando c’era qualcosa che non funzionava sulla carta , per me era importante discutere sul carattere e discutere con Luca Marinelli. Non puoi chiedere allo sceneggiatore di risolvere tutto.  Avevamo riletto Dagerman, Majakovskij, L’uomo in rivolta di Camus, i Situazionisti, Mannheim, la letteratura che abbiamo amato, Cioran. Abbiamo fatto un liberissimo adattamento europeo. Il libro nasce già sfortunato. London lo ha dovuto difendere. Tanta gente non accettava che un ragazzo finisse così. Gli americani non possono accettare un libro di un uomo che si fa da sé e poi si ammazza. Ho presentato  a New York il film. Grande contraddizione. London non e’ stato mai – come Simenon nel tempo e’ stato – lodato. L’abbiamo portato a Napoli con gli strumenti culturali che possediamo. A qualsiasi produttore ci presentavamo  ci facevano le pernacchie. Non volevo tradire il romanzo.

Moder : London sta sul personaggio, non ha divagazioni storiche. La vostra scelta di integrare un orizzonte storico. Integrare materiale di archivio.

Reg : Non potevamo elevarci più in alto del romanzo. Ho sempre lavorato con gli archivi. Il cinema attinge da altre arti. Un insieme di tutte le cose. L’ho affrontato  con gli strumenti con cui ho fatto altri film. Credo nelle sperimentazioni e nel cinema che verrà. I formati sono già decisi. Per me non ha senso che il film debba durare 120’.

Braucci: Siamo cresciuti in una contrada sociale a Napoli. Lui faceva i cineforum in matinée. Quando lavori con un regista pensi sempre alle sue capacita’. Le parti di repertorio in scrittura erano i viaggi dell’epoca. Ma le ricerche le ha fatte lui. Eravamo decisi ad illustrare il processo creativo di Martin Eden. Avevamo scelto racconti, come muore un bambino, ecc.. E Pietro, con il suo modo e slancio, lo ha fatto genialmente, con il repertorio, facendo una cosa in più. Racconti poetici con il repertorio. In alcuni punti si aggancia alla finzione. Non si capisce se e’ girato o è repertorio, nelle soggettive. Ha creato un interregno che viene dal passato ma si inserisce nel flusso. E’ stato un film che lui ha fatto nel montaggio. Siamo entrati nel romanzo. Quali sono i poeti del Martin Eden  napoletano? Abbiamo cercato l’equivalenza. Da noi non c’è tradizione di letteratura marittima. E’ stato un lavoro di tradimento e traduzione. Più andavamo dentro e più era complesso.

Reg: Spencer era un grande biologo ma ha scritto cose orribili. Abbiamo Malatesta all’inizio del film e ne siamo felici. Come faccio ad elevarmi più in alto? Solo con il repertorio. Non potevo  attraversare il ‘900 senza il repertorio. Non volevo un film perfetto. Lo volevo un po’ più sgangherato. Il cinema che faccio io sono “momenti di cinema”. Mi dispiace che i miei film siano separati. Vorrei tenere tutti i miei film assieme. Tornare a a rimontarli. Il passaggio della linea. Vedremo con il tempo se resterà qualche immagine. Ci continuo a ragionare. Non siamo riusciti a fare tutto quello che volevamo fare. Saremmo arrivati ad un film di tre ore.

Moder : Film aperto che cerca risonanze in tutti gli altri film. Capacita’ di costruire un atto da una immagine aperta. Il testo di riferimento non e’ mai chiuso. Come a Hollywood. Il testo di Pietro e’ aperto, capace di accogliere. Documenti di archivio che sono documenti storici, che possono diventare lo sguardo del protagonista. Da oggettivo a soggettivo. E’ tutto un unico progetto: inserire nella storia italiana del ‘900 quel personaggio. Dialettica tra elementi d’archivio e sceneggiatura. Il personaggio non vive più in Africa, ma a Napoli.

Braucci : All’inizio oltre al libro abbiamo visto anche quello che c’era. C’è un film del 1911, piccola fiaba. Un film con Glenn Ford, una specie di dopo il romanzo. Anche due sceneggiati. Uno italiano anni ’70, 5 puntate da 50 minuti. Con una manomissione: le tematiche compromettenti sono omesse, come il discorso che fa ai lavoratori socialisti, una specie di Marx che parla ai borghesi. Omessa la parte complessa, uno sceneggiato russo era spostato sulla storia del proletariato. Noi invece non siamo stati compiacenti. Abbiamo rispettato il libro. Credo sia stato onesto. E’ il primo adattamento che restituisce il libro.

Reg : Una volta era individuo, oggi e’ persona. Noi proteggiamo l’individuo.  Per la storia del paese non ci siamo posti il tema del cronologico. Ci sono imperfezioni volute. Spaziare come volevamo, che ha reso il film più libero, fuori dai canoni. Ho sempre immaginato il repertorio nel film. L’ho girato come fosse un documentario. Ho continuato a fare Martin Eden nello stesso modo di La bocca del lupo e Bella e perduta, e’ bello fare i film piccoli. Se penso ad Ermanno Olmi… lui si è formato con i documentari che faceva per l’industria. Se vai sul set tutti utilizzano strumenti che sono tutti uguali. Sempre replicati. Si può fare di più. Credo che si perda un sacco di tempo nelle 10 stesure di sceneggiature. Mi piace la freschezza di girare. Io so quali sono le cose che si possono fare. Non ho mai utilizzato una dolly. Una volta che me l’hanno portata e’ stato un casino. Non l’ho voluta più. Andavo contro il tempo. Due sequenze in  una giornata, con i tempi del cinema ci volevano tre giorni. Mi ha salvato il documentario. Io sono abituato a montare in macchina. Per la festa di Ruth, nella stessa giornata la parte giù e quella su. La sequenza giù era con 200 persone. Non potevo affidarmi alla troupe. Ho preso la macchina e facevo i ciac in coda. Facevo sequenze da 10 minuti. Alcuni rulli non li ho utilizzati. Utilizzavo le kuk che sono lenti molto morbide. Il film e’ pieno di fuori fuoco, ma con le kuk non le vedi. Ho girato tutto in spalla. Per girare con il carrello ci avrei messo ore. E’ stato girato con tempi televisivi. Abbiamo provato molto, cambiando il testo. Il confronto con gli attori rielaborava il testo, che si passava di nuovo allo sceneggiatore che lo licenziava. Tarkowski dava i dialoghi la mattina prima di girare. Parliamo di attori di un certo livello, non abituati. Spesso avevo non attori nel film. Per equilibrare. Ma tutto alquanto alchemico. Spesso non si ha esperienza. Ma di film per strada ne ho fatti. Mi piace il regista che si diverte. Non quello cinico e cattivo, servito e riverito. Ho una grande fascinazione per i film storici. Fare un film storico significa ricerche enormi. Ho fatto ricerche iconografiche per 3 anni. L’ambiente umbertino  a Napoli, come lo ricostruisci? Bisogna essere sempre abili nel cambiare strada. Mi ha arricchito come esperienza sull’aspetto produttivo. Ho fatto tanti errori. Di tendenza il mio timore era di guardare oltre il vicolo. Ci siamo accontentati delle cose che già esistevano. Il film e’ costato 4 milioni, che non e’ poco. Il kolossal dei poveri. Del Martin Eden che ho portato con me negli approfondimenti sono riuscito a fare una parte del film. Il resto e’ stato ricostruito. Quando ho iniziato la seconda parte abbiamo avuto problemi di organizzazione… ho perso due giorni di sviluppo. Hai 50 persone intorno. Ci sono tanti modi di fare cinema. Credo in un cinema di militanza e non ricco. Siamo riusciti a farlo grazie ad accordi fatti con troupes di 5 o 6 persone. Il numero ideale. Alle 6 di mattina. Abbiamo provato a girare in cronologia. Ma non ci siamo sempre riusciti.

Braucci : C’era una scena in prima stesura che Pietro aveva tagliato. Era girata con Carlo Cecchi in un centro sociale. Vanno dai giornalisti anarchici, fatto storico degli anarchici di Reggio Calabria. Stando li’ , a Pietro viene di girare quella scena tagliata. Siamo andati da Cecchi e gli diciamo che stanotte abbiamo scritto un’altra scena. Lui la legge, ci guarda, e ci dice: “Sapete che a me mi chiamavano il re del gobbo?” E l’ha fatta, con le battute scritte dappertutto. Poi non l’abbiamo messa. Il film lo impari facendolo. E’ un patrimonio umano che ti porti dietro. Sono affascinato dal fatto che i registi cambiano le cose scritte. E’ la teoria del plus valore. Quasi magico, con idee creative. La sopravvenienza e l’incidente a volte possono diventare grandi risorse. Ma devono venire dal mondo. Doveroso e’ quando viene da una limitazione produttiva. La mente creativa aperta accoglie le sfide poste dai limiti. Le idee diventano forma. Ci sono film che invecchiano bene. Martin Eden e’ un film sulla libertà fatto in modo molto libero. Mi e’ capitato di incontrare uno storico che mi ha detto che non poteva vedere questo film che e’ un sogno. Il ‘900 sognato. La città sembra un sogno delle città. Altra grande esperienza di come un’opera funziona nel mondo. Quando gli spettatori ti raccontano il film scopri del cose straordinarie. Uno ci ha detto: “Avete pensate a Jung?”  No, a Jung no. Non sempre il pubblico reagisce bene. Il film porta  via le barriere. Occorre rischiare. Ci potevamo rompere le ossa. Quando siamo stati a Londra, le tematiche sono state recepite più facilmente. Nell’orchestrazione che abbiamo in questo era anche possibile  verificare a livello letterario e politico. In Italia non ci sono persone preparate su Spencer. Se vi rileggete “Farsi un fuoco” di London, e’ il darwinismo locale. Anche il nonno di Huxley spingeva il messaggio di Darwin sul marxismo. Anche Marx era un ammiratore di Darwin. Siamo stati a Budapest. La filosofia del collettivismo marxiano. L’albore del ‘900. Poi inscatolato nelle ideologie. C’è una sorta di magia che ti sorprende. Il libro va scritto. Non c’è solo melodramma. Il socialismo degli albori, utopista, senza rigore scientifico, come può essere visto dai filosofi europei? Ma anche i grandi pensatori hanno prodotto cose orribili nel loro rigore scientifico. E’ giusto rileggerlo senza liquidarlo in categorie. C’era uno slogan nello stalinismo: tagliando gli alberi volano le schegge. Facendo la storia ammazzi un sacco di gente. Ci abbiamo provato a metterlo nel film. Non siamo stati ammiccanti. Se ci sono spunti spiacevoli, ci siamo fidati di London.

Reg : Oggi la lotta di classe sono i paesi ricchi che dominano i paesi poveri. Io associo a questo film lo Zappatore di Mario Merola. Tradimento della classe di appartenenza del figlio. Per me e’ un grande film. Se sei insicuro il cinema non lo puoi fare. Mi piace leggere le recensioni. Ma se mi dici che  ci doveva essere Sorel al posto di Spencer…. c’era Hegel a Napoli. Abbiamo mantenuto Spencer. Ci sembrava giusto. Nessuno lo conosceva in Italia. Pino Bertelli, storico situazionista, ha trovato i riferimenti di studio che abbiamo studiato. Quando finiscono i film fai fatica. Non hai più strumenti. Le scelte le abbiamo fatte in scrittura. Ma il montaggio ha aperto nuove porte.  Dentro il film ci sono tanti archivi. Ma ci sono anche archivi miei, di cose che ho fatto in passato. L’importanza e’ dare senso a quello che mostri. Danno senso al film. Diventa un corpo unico. Il romanzo non lo raggiungeremo mai, e’ più nobile del film.

Moder : Il tuo film precedente, “Bella e perduta”, e’ un processo di pittura.

Domanda: Il tempo di adattamento, dalla lettura alla trasposizione fino alla riduzione?

Reg : Il problema non è stato il raggiungere una sceneggiatura ideale, che per me era di 230 cartelle. Ma non l’abbiamo potuta fare.

Braucci : Abbiamo fatto 4 mesi di full immersion, che per un libro come questo è  poco. In tutto un anno. Abbiamo lavorato in maniera molto libera. La prima stesura ci ha spaventato. Oggi si dice: una pagina = un minuto, poi gli esercenti si arrabbiano. Tutto e’ strutturato. Trovo questo un modo molto aggressivo di stare sugli standard. Un modo cosi controllato è soppressione della creatività.

Reg : Gli sceneggiatori si uniformano sui mali degli strutturalisti americani. A cui non credono più nemmeno loro. Per me e’ impossibile scrivere un film con gli sceneggiatori romani classici. Lo spoglio del libro lo ha fatto lui. Quando ho realizzato il piano di lavorazione ho messo in fondo alcune scene. Non ci possiamo lamentare dei produttori. Non ci hanno fatto osservazioni. La sceneggiatura ideale era di 200 pagine, ma non l’abbiamo potuta fare. Andava fatto un film in due atti. Due film. Non c’era la forza produttiva.

D: Uno dei film più poetici dell’anno. Avere tutti i film assieme. Esperienza di  Napoli a Montesanto. Tanti ti hanno chiesto: “Quanto Pietro c’è dietro  Martin Eden… Secondo te, quanto c’è dietro?”.  Come la scena di Martinelli che aveva dietro una giacca sfocata di Pietro… Paradigma inconsapevole.

Reg : Eravamo in pochi. Io ero dietro a Marinelli per spostare la gente. E’ rimasta dentro. Non e’ stato un fatto di vanità. Non stavo in macchina perché era un tele. Eravamo 5. Le cose sono state girate random, la mattina prestissimo con un pulmino piccolo. Per me e’ impossibile portarmi dietro il carrozzone.

D: Quanto pesa l’ esperienza di Napoli Montesanto?

Reg : Per me Martin Eden finisce con il veliero che sprofonda. E’ molto contemporaneo. La cultura del narcisismo. L’uomo diventa vittima di se’ stesso, per aver tradito la sua classe di appartenenza. Martin pensa solo a se stesso. Non ha più niente da dire. Non ha più rapporto con la realtà. Quello che l’aveva deluso è che aveva perso lo slancio. Nella seconda parte  del romanzo ha raggiunto il successo. Il ragazzo si fa da solo, non e’ figura positiva. II finale del romanzo e’ di impostazione ottocentesca. Il film diventava patetico. Lo abbiamo modernizzato. Si affaccia alla finestra. Insegue se’ stesso. Sono con lui fino a quando si riscatta. Poi con il veliero che va giù non ha più niente da raccontare. Al Dams ho imparato a fare tanti mestieri: fabbro, falegname. Quando ho cominciato a fare cinema ho contato su di me. Mi sviluppo la pellicola. Ho le mie ottiche. Mi sistemo tutto il montaggio. Il Dams è stata una esperienza di vita importante. Non cercavo soldi. Non c’era alcun privilegio. Avevo 20 anni.  E’ stata la mia formazione più importante.

D: Per me la scrittura è un canovaccio che prende vita sul set. Per i documenti di archivio che sono in fase di scrittura?

Reg : Ci sono minime indicazioni in scrittura. Non immagini gli archivi. Li devi trovare. Sono molto scettico sullo scrivere tante pagine per i documentari. I francesi scrivono 40 pagine per fare il formaggio dell’alpeggio. Ho dei problemi con il cinema del reale. Mi sembra più corretta la  trasposizione del reale. Non c’è nulla di arbitrario. Scegliamo da che parte stare. Non credo nei modelli, ma nel metodo. Rossellini aveva problemi con la scrittura. Lui trasformava tutto. Il suo metodo te lo spiega. Il cinema è legato all’imprevisto. Se c’è un problema è sciocco seguire la scrittura, il problema  va risolto. E’ il regista che deve risolvere  il problema. Non si può chiamare lo sceneggiatore. Non credo in una scienza esatta.

D: Mi hanno colpito i costumi. Gli anacronismi li ho trovati bellissimi. Capovolgimento dell’uniforme e lo sguardo idealizzante della famiglia. In genere il costume omogeneizza tutto. Invece ci sono scarti incredibili sugli abiti. Sguardo di Martin in cui idealizza la famiglia di lei.

Reg : Andrea Cavalletti e’ stato uno dei più importanti. Grande cultura e preparazione. Abbiamo voluto mischiare le epoche con i costumi.

D: Il documentario non si scrive, si gira. Come struttura un documentario?

Reg : Per girare un film devi trovare i soldi e per trovare i soldi devi scrivere un dossier. Tutte le volte che ho potuto farmelo scrivere da un altro l’ho fatto. Per me un documentario nasce da una inchiesta. Per tutti i film. Per me il modello è multi livello. Facevo prima i radio-documentari. La cinepresa e’ uno strumento violento. Ho molto rispetto per lo strumento. Non so fare fotografie. I dossier vanno scritti. Mi sembrano eccessive 40 o 50 cartelle.  Poi non importa cosa fai.

Braucci : Lo spirito tuo e’ “Bella e perduta” che nasce da una idea mentre giravi.

Reg : Invidio Gianfranco Rosi che fa tutto da solo. E’ bellissimo lavorare cosi’. Per fortuna che mi sono fatto le ossa con il documentario. Altrimenti Martin Eden sarebbe stato per me una Caporetto.

 

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