“Ritorno ad Auschwitz e “Pola la città dolente”, di Massimo Rosin

“Ritorno ad Auschwitz e “Pola la città dolente”, di Massimo Rosin

Due date, quella del 27 gennaio e del 10 febbraio, sono il passaggio che la nostra memoria compie ogni anno per ricordare lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento tedeschi e quello delle Foibe, dove, nelle zone carsiche dell’Istria, furono uccisi e poi fatti sparire, tra i 5 e 8 mila italiani rei solo di stare dalla parte sbagliata. In quelle zone dove ormai regnava l’odio verso tutti quelli che non erano jugoslavi e perciò nemici, come gli italiani, secondo la credenza allora in corso, le testimonianza di quanti hanno avuto lutti si fanno sempre più presenti.I racconti di quanti sono sopravvissuti nei campi di concentramento e quello dei parenti degli infoibati, sono forse lo spettro di quell’unica follia che allora invadeva l’Europa. A quella tedesca si contrapponeva quella dei restanti paesi di cui la Jugoslavia ne fu la testimonianza più atroce. Film-documentari ce ne sono e per fortuna sono documenti da cui non ci si potrà discostare. Ne ho scelto due: “Ritorno ad Auschwitz e “Pola la città dolente” quest’ultimo un film di Mario Bonnard.

Nel primo il ritorno ad Auschwitz è stato fatto da Primo Levi, lo scrittore piemontese autore di quel libro “Se questo è un uomo” che scoperchiò a molti la follia della ragione messa in atto dal regime nazista di Hitler. Il documentario fatto allora dalla Rai, siamo nel 1982, riportò lo scrittore sui luoghi di quella gigantesca tragedia. Lui fu uno dei 20 sopravvissuti di quei 650 che partirono allora, ammassati dentro a quei vagoni blindati. I suoi ricordi sono lucidi e precisi sebbene la voce non manifesti alcuna emozione, come se, nel fondo della sua coscienza, ci fosse una rimozione.” La mia sopravvivenza è in parte dovuta a quel poco di tedesco che già sapevo, ma era niente. Molti, la quasi totalità era annientata da quella lingua che ancora sentivano prima di venir annientati”. Parole, queste di Levi, che ci riportano al dramma assoluto vissuto da milioni di ebrei, vittime di pregiudizi folli e omicidi a cui non hanno saputo o potuto opporre una resistenza. Primo Levi, cinque anni dopo, morì cadendo lungo la ripida tromba delle scale del suo condominio. Ci fu chi allora parlò di incidente, chi invece di suicidio, dopo che Levi venne a sapere della profanazione di alcune tombe di ebrei in un cimitero olandese. “Ecco sono tornati” avrebbe confidato ad alcuni qualche giorno prima della sua morte.
Di altre morti invece ci ricorda il 10 Febbraio. Quella delle foibe è una storia non ancora del tutto conosciuta. A partire dal 1943 fino al 1945 tutla zona dell’Istria subì profonde mutazioni, costringendo la quasi totalità degli italiani ad una frettolosa scelta: stare con il nuovo governo jugoslavo oppure lasciare l’Istria per sempre. Ma ciò che avvenne già a partire dal 1943 fu una sommaria “resa dei conti” da parte dell’esercito slavo che rastrellò, uccidendo poi migliaia di italiani, colpevoli solo di essere dalla parte sbagliata. Essere italiano voleva dire essere fascista e questo era sufficiente per essere eliminato. In quella zona, un villaggio vicino a Trieste, Basovizza, fu individuato un burrone profondo qualche centinaio di metri dove furono condotti e poi uccisi tutti quegli italiani che si opponevano alla violenza dell’esercito slavo. La strage colpì anche giovani minorenni trovatisi in quelle zone loro malgrado e condotti via di notte senza che nessuno ne venisse a conoscenza. La brutalità della guerra era un denominatore comune in ogni parte dell’Europa. Gli jugoslavi odiavano i tedeschi e gli italiani, come i tedeschi gli ebrei. Quegli orrori furono resi evidenti solo molti anni dopo, quando qualcuno cominciò a parlare di quella strage.I mutati climi sociali permisero,decenni dopo,al governo italiano e a quello jugoslavo di risanare quella ferita mai del tutto ricucita.
Massimo Rosin