Spaghetti in celluloide, di Catello Masullo

Spaghetti in celluloide, di Catello Masullo

La registrazione dell’evento e del film antologico originale può essere scaricata dal seguente linkhttps://www.cinecircoloromano.it/2021/03/eventi-dibattiti/i-mercoledi-culturali-del-cinecircolo-romano-3-marzo-2021-spaghetti-in-celluloide/

I principali contenuti sono anche riassunti di seguito.

“Pasta” viene dal tardo latino păsta(m), dal greco πάστα con significato di ‘farina con salsa’ che deriva dal verbo pássein cioè ‘impastare’. Le origini della pasta, chiamata con altri nomi, risalgono quasi all’età neolitica (circa 8000 a.C.) quando l’uomo cominciò la coltivazione dei cereali che ben presto imparò a macinare, impastare con acqua e cuocere o seccare al sole per poterli conservare a lungo. La pasta è infatti un cibo universale di cui si trovano tracce storiche in tutto il continente euroasiatico. Acquisisce una posizione particolarmente importante in Italia e in Cina dove si sviluppano due prestigiosi filoni di tradizione gastronomica che si completano a vicenda ma di cui rimane difficile stabilire i rapporti proprio per la complessità dei percorsi intermedi.

La testimonianza più antica, databile intorno ai 4000 anni fa, è data da un piatto di spaghetti di miglio rinvenuti nel nord-ovest della Cina presso Lajia sotto tre metri di sedimenti. L’invenzione cinese viene tuttavia considerata indipendente da quella occidentale perché all’epoca i cinesi non conoscevano il frumento caratteristico delle produzioni europee e arabe.
Si possono trovare tracce di paste alimentari già tra gli Etruschi, Arabi, Greci e Romani.

Chiara la testimonianza per gli Etruschi fatta a Cerveteri dalla tomba della Grotta Bella, risalente al IV secolo a.C., dove alcuni rilievi sono a raffigurare degli strumenti ancora oggi in uso per la produzione casalinga della pasta come spianatoia, mattarello e rotella per tagliare.

Per il mondo greco e quello latino numerose sono le citazioni fra gli autori classici, fra cui Aristofane e Orazio, che usano i termini làganon (greco) e laganum (latino) per indicare un impasto di acqua e farina, tirato e tagliato a striscie. Queste lagane, ancora oggi in uso nel sud d’Italia (da cui anche laina), considerate inizialmente cibo dei poveri, acquisiscono tanta dignità da entrare nel quarto libro del De re coquinaria del leggendario ghiottone Apicio. Egli ne descrive minuziosamente i condimenti tralasciando le istruzioni per la loro preparazione, facendo supporre che fosse ampiamente conosciuta.

Per gli Arabi, Ziryab, musicista, ma anche appassionato gastronomo del IX secolo d.C., descrive impasti di acqua e farina assimilabili alle paste. Ne Il diletto per chi desidera girare il mondo o Libro di Ruggero pubblicato nel 1154, Al-Idrisi, geografo di Ruggero II di Sicilia, descrive Trabia, un paese a 30 km da Palermo, come una zona con molti mulini, dove si fabbricava una pasta a forma di fili chiamata itrya (dall’arabo itryah che significa “focaccia tagliata a strisce”), che veniva spedita con navi in abbondanti quantità per tutta l’area del Mediterraneo sia musulmano sia cristiano dando origine ad un commercio molto attivo. Questa è la prima testimonianza scritta sulla pasta che poi entrerà nella storia.

 

La più importante novità del Medioevo per la costituzione della moderna categoria di pasta, fu l’introduzione di un nuovo metodo di cottura e di nuove forme. Il sistema della bollitura, usato nell’antichità solo per pappe o polente di diversi cereali, sostituì il passaggio al forno dove invece le antiche lagane erano poste direttamente con il condimento come liquido di cottura.

Apparvero le paste forate e quelle ripiene; l’invenzione della pasta secca a lunga conservazione, attribuita generalmente agli arabi bisognosi di provviste per i loro spostamenti nel deserto, fu invece la novità che più influì nelle abitudini alimentari e nei commerci. Fu nel Medioevo che sorsero le prime botteghe per la preparazione professionale della pasta che dalla Sicilia, impregnata di cultura araba parallelamente al Levante spagnolo, già a metà del XIII secolo si installarono anche a Napoli e Genova, città che avranno poi grande partecipazione nell’evoluzione e nel successo delle paste alimentari. In un secondo tempo aprirono anche in Puglia e in Toscana e nel XIV secolo vennero costituite le prime corporazioni di pastai. La tecnica dell’essiccazione permise alla pasta di affrontare lunghi percorsi via mare o all’interno del continente per i quali si specializzarono i commercianti genovesi. Anche la Liguria divenne luogo di produzione di paste secche mentre l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto rimarranno legati all’uso della pasta fresca che tuttora persiste.

Preparazione della pasta, Tacuinum sanitatis Casanatense (XIV secolo)

 

 

Oltre a croseti (pasta corta) e ancia alexandrina (pasta lunga), nel trecentesco Liber de coquina viene spiegato molto dettagliatamente il modo di fare lasagne e si consiglia di mangiarle con “uno punctorio ligneo”, un attrezzo di legno appuntito. In effetti, mentre nel resto d’Europa per mangiare si useranno le mani fino al XVII-XVIII secolo, in Italia si ebbe una precoce introduzione della forchetta più comoda per mangiare la pasta scivolosa e bollente introdotta nel sistema alimentare.

Solo nel quattrocentesco Libro de arte coquinaria di Maestro Martino si trovano le prime indicazioni tecniche per la preparazione dei “vermicelli”, “maccaroni siciliani” (per la prima volta il termine indica pasta corta forata) e “maccaroni romaneschi” (tipo tagliatelle). Le ricette dell’epoca prevedevano che la pasta fosse servita come contorno ad altre vivande e specialmente con la carne. Questo gusto, insieme a quello per la pasta scotta, si trova ancor oggi fuori dall’Italia dove invece nel ‘600 Giovanni del Turco comincia a consigliare una cottura più breve che lasci i maccheroni “più intirizzati e sodi”. Classico anche l’abbinamento con formaggio grattugiato, mai scardinato, neanche dall’abbinamento col pomodoro sperimentato e attestatosi tra fine ‘700 e primi ‘800.

Alla fine del XVI secolo comparvero i primi pastifici a conduzione familiare nella città di Gragnano, favorita da particolari condizioni climatiche, come una leggera aria umida che permetteva la lenta essiccazione dei “maccaroni”. Con la crisi del settore tessile, dalla metà del XVII secolo la maggior parte dei gragnanesi venne impiegata nell’industria pastaia per la quale furono costruiti ben 30 mulini ad acqua, i ruderi dei quali si possono ammirare nella “valle dei mulini”. La produzione della pasta, in particolare dei “maccaroni”, rese famosa nel mondo Gragnano che nell’Ottocento conobbe la sua epoca d’oro. La via Roma e la piazza Trivione, con i maccheroni appesi ad essiccare, diventarono così il centro della città.

Nel Settecento i primi rudimentali macchinari per la produzione industriale resero il costo della pasta accessibile anche ai meno abbienti che fino ad allora ne erano rimasti privati.

La produzione dei maccaroni aumentò ancora dopo l’Unità d’Italia. I pastifici gragnanesi si aprirono ai mercati di città come Torino, Firenze e Milano e la produzione di pasta raggiunse quindi l’apice. Gragnano addirittura ottenne l’apertura di una stazione ferroviaria per l’esportazione dei maccheroni che la collegava a Napoli e quindi all’intero Paese. Il 12 maggio 1885, all’inaugurazione erano presenti nientemeno che il re Umberto I e sua moglie, la regina Margherita di Savoia . Successivamente i pastifici si ammodernarono. Arrivò l’energia elettrica e con questa i moderni macchinari che sostituirono gli antichi torchi azionati a mano.

Fabbrica di maccheroni, Palermo

 

Il Novecento fu invece un secolo difficile per la città della pasta. Le due Guerre Mondiali fecero entrare in crisi la produzione della pasta gragnanese che nel Dopoguerra dovette affrontare la concorrenza dei grandi pastifici del Nord Italia, che disponevano di capitali maggiori. Il terremoto del 1980 aggravò la situazione e ridusse il numero di pastifici a sole otto unità. Nonostante i tanti problemi, Gragnano continua a essere la città della pasta oggi riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale. I nuovi pastifici puntano ad una produzione di qualità e propongo itinerari turistici alla scoperta di quella produzione che rese Gragnano famosa

 

Spaghetti eaters, “Mangiatori di spaghetti”, prima del 1886

 

La pasta entra anche nell’immaginario collettivo diventando sinonimo di tradizione e semplicità. Gli italiani nel mondo saranno riconosciuti, e si riconosceranno, come “mangiamaccheroni”. Gli ambienti, i fenomeni e le atmosfere che girano intorno ad un piatto di pasta entreranno prima nella letteratura e poi nel cinema offrendo lo spunto per molti capolavori.

Già nel XIV secolo nel Decameron di Giovanni Boccaccio si fa leva sull’immaginario goloso dei lettori parlando di pasta, cibo già diffuso e comune nel Medioevo, che qui diventa simbolo di abbondanza alimentare.

  « …una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva… »
  (G.Boccaccio Decameron VIII 3)

NelXVI secolo i maccheroni, divenuti sinonimo del popolo ignorante che se ne nutriva, danno il nome ad un genere letterario che è quello della poesia maccheronica ed all’impasto linguistico con cui è scritta cioè il latino maccheronico, per cui, uno degli esponenti di spicco sarà Teofilo Folengo.

Nel 1835 Giacomo Leopardi, componendo i Nuovi Credenti, non si fa scrupolo ad attaccare duramente il popolo napoletano spiritualista beffandosi del suo amore per i maccheroni. Egli è nell’ultima fase della sua poetica dove appare più sicuro della sua concezione materialistica del mondo e più deciso a sostenerla contro la fede del suo tempo nella provvidenza cristiana e nel progresso politico e tecnico. Suscita la reazione dei napoletani, i quali però, più che le tesi filosofiche, pensano a difendere proprio l’amore per la pasta. Senza badare al Dialogo di Tristano e di un amico già pubblicato nel 1832, dove Leopardi scagiona il suo pessimismo imputato unicamente alla sua malattia, Gennaro Quaranta nella poesia Maccheronata, risponde così:

  « E tu fosti infelice e malaticcio, o sublime Cantor di Recanati,
che bestemmiando la Natura e i Fati, frugavi dentro te con raccapriccio.
Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio, né gli occhi tuoi lucenti ed incavati,
perché… non adoravi i maltagliati, le frittatine all’uovo ed il pasticcio!
Ma se tu avessi amato i Maccheroni più de’ libri, che fanno l’umor negro,
non avresti patito aspri malanni…E vivendo tra i pingui bontemponi
giunto saresti, rubicondo e allegro, forse fino ai novanta od ai cent’anni…
 »
   

Anche Gioachino Rossini che si autodefiniva “Pianista di terza classe ma primo gastronomo dell’universo” amava la pasta che si faceva spedire direttamente da Napoli tanto che nel 1859 in una lettera ad un amico si lamenta del ritardo di un carico firmandosi “Gioacchino Rossini Senza Maccheroni”.

Nel 1930 Filippo Tommaso Marinetti, nel Manifesto della Cucina Futurista, auspica una vera e propria crociata contro gli spaghetti, accusando la pasta di uccidere l’animo nobile dei napoletani. Ne propone addirittura l’abolizione che, a parere suo e di Benito Mussolini ispiratore della polemica, avrebbe liberato l’Italia dal costoso grano straniero e favorito l’industria italiana del riso.
La questione si risolve però rapidamente con un Marinetti immortalato nel ristorante Biffi di Milano nell’atto di mangiare un bel piatto di spaghetti. Immancabile segue una derisione popolare che usa soprattutto questa frase: “Marinetti dice Basta, messa al bando sia la pasta. Poi si scopre Marinetti che divora gli spaghetti.”

 

Ancora oggi molti credono sia stato Marco Polo al ritorno dalla Cina nel 1295 ad aver introdotto in Occidente la pasta . Si tratta invece solo di una leggenda.la “bufala” è nata negli Stati Uniti d’America sul Macaroni Journal (pubblicato da una associazione di industriali con lo scopo di rendere la pasta familiare ai consumatori americani e favorita dai circoli governativi impegnati a sostenere la coltivazione del grano duro).

A sostegno della tesi c’era che, tra le meraviglie del mondo descritte nel Milione, parlando del reame di Fansur, Marco Polo scrive che Qui à una grande maraviglia, che ci àn farina d’àlbori, che sono àlbori grossi e ànno la buccia sottile, e sono tutti pieni dentro di farina; e di quella farin[a] si fa molti mangiar di pasta e buoni, ed io piú volte ne mangiai a cui, nelle note alla prima versione italiana, Giovan Battista Ramusio aggiunge che la farina purgata et mondata, che rimane, s’adopra, et si fanno di quella lasagne, et diverse vivande di pasta, delle quali ne ha mangiato più volte il detto Marco Polo, et ne portò seco alcune a Venezia, qual è come il pane d’orzo, et di quel sapore….

Pertanto gli americani, come dice Giuseppe Prezzolini, «non hanno esitato a prender il testo del Ramusio, han dato una spintarella… e l’han fatto diventare la prova» dell’importazione dalla Cina degli spaghetti.

 

 

Nel 1957 la BBC trasmette in televisione un documentario molto serio sulla Raccolta primaverile degli spaghetti dove si diceva che, nel clima favorevole di alcune zone d’Italia, crescessero sugli alberi. Il programma, pure se non come quello su La guerra dei mondi di Orson Welles, è molto convincente e alcuni telespettatori si mettono alla ricerca delle fantastiche piantine producendo conseguenze esilaranti.

Gli spaghetti hanno ispirato l’immagine del Flying Spaghetti Monster, dio di una religione parodistica creata per protestare nel 2005 contro la decisione del consiglio per l’istruzione del Kansas, di insegnare il creazionismo affiancato all’evoluzionismo nei corsi di scienze. Il Mostro di Spaghetti Volante è rappresentato come una massa di spaghetti con due tentacoli dotati di occhi, due polpette e delle “appendici pastose”. I seguaci si fanno chiamare “Pastafariani” giocando sul termine Rastafariani e rivendicano di essere stati toccati da una “Sua Spaghettosa Appendice”.

Flying Spaghetti Monster

 

 

La pasta alimentare conforme alla legge e alle tradizioni locali è un alimento tipico italiano.

  « …il nostro più che un popolo è una collezione. Ma quando scocca l’ora del pranzo, seduti davanti a un piatto di spaghetti, gli abitanti della Penisola si riconoscono italiani… Neanche il servizio militare, neanche il suffragio universale (non parliamo del dovere fiscale) esercitano un uguale potere unificante. L’unità d’Italia, sognata dai padri del Risorgimento, oggi si chiama pastasciutta »
  (C. Marchi, Quando siamo a tavola, Rizzoli, 1990)

In Italia la pasta secca, che costituisce i tre quarti dei consumi totali, è ottenuta dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati esclusivamente con semola o semolato di grano duro (di cui il 60% nazionale è prodotto in Capitanata) ed acqua. La legge ne stabilisce chiaramente le caratteristiche e le eventuali denominazioni con il Decreto del Presidente della Repubblica n.187 del 9 febbraio 2001.

L’altro quarto dei consumi è rappresentato dalla pasta fresca, per cui, oltre ad un più elevato livello di umidità e di acidità, è previsto anche l’impiego del grano tenero e la sfogliatura dell’impasto in alternativa alla trafilazione.

Il 27 settembre 2006, alla camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge per l’istituzione di un Festival nazionale itinerante della pasta italiana.

Con 28 kg annui pro capite, l’Italia da sempre si trova al primo posto nella graduatoria mondiale per il consumo di pasta, a grande distanza dal Venezuela che è secondo consumandone solo la metà. Il 37% dei consumi italiani avviene al nord (24 kg pro capite), il 23% al centro (28 kg pro capite) e il 40% (34 kg pro capite!) al sud.

 

Il consumo medio anno pro-capite, in Kg, in alcuni paesi e’ cosi’ valutato
Italia
Venezuela
Tunisia
Svizzera
Stati uniti
Grecia
Cile
Francia
Argentina
Portogallo
Canada
Russia e Svezia
Germania
Spagna
Turchia
Olanda
Inghilterra
Giappone
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
Kg.
28,2
12,7
11,7
9,6
9,0
8,8
8,2
7,3
6,8
6,5
6,3
6.0
5.3
4,6
4,5
4,4
2,5
1,7
Dati UN.I.P.I.
(Unione Industriali Pastai Italiani)

 

L’Italia, con 3.191.505 tonnallate per l’anno 2005, detiene anche il primato della produzione mondiale, seguita dagli Stati Uniti con 2.000.000 di tonnellate e dal Brasile con 1.000.000. Le esportazioni assorbono circa il 50% della produzione italiana e sono in continua crescita sia per l’aumento della richiesta nei mercati tradizionali (Germania, Francia, Regno Unito, USA etc.), sia per l’allargamento dei mercati verso l’est europeo ed orientale (Russia, Polonia, Cina, India etc.).

 

Due tipi di pasta secca: spaghetti e fusilli, chiamati anche eliche o celentani

Le paste alimentari prodotte industrialmente e destinate al commercio, secondo la legge italiana, possono essere solo di acqua e sfarinati di grano duro nei tipi e con le caratteristiche riportate nella tabella sottostante, dove il grado di acidità è espresso dal numero di centimetri cubici di “soluzione alcalina normale” occorrente per neutralizzare 100 grammi di sostanza secca.

Tipo e denominazione Umidità massima % Ceneri min. (%) Ceneri max. (%) Proteine min. (%) (azoto x 5,70) Acidità massima in gradi
Pasta di semola di grano duro 12,50 0,90 10,50 4
Pasta di semolato di grano duro 12,50 0,90 1,35 11,50 5
Pasta di semola integrale di grano duro 12,50 1,40 1,80 11,50 6

Tutte le paste contenenti ingredienti diversi sono considerate paste speciali e devono essere messe in commercio con la dicitura “pasta di semola di grano duro” completata dalla menzione dell’ingrediente utilizzato e, nel caso di più ingredienti, di quello o di quelli caratterizzanti.

Diversi tipi di pasta secca all’uovo

Qualora nella preparazione dell’impasto siano utilizzate uova, la pasta speciale deve rispondere ad ulteriori requisiti. La pasta all’uovo deve essere prodotta esclusivamente con semola e uova intere di gallina, prive di guscio, per un peso complessivo non inferiore a duecento grammi di uovo (corrispondente a 4 uova) per ogni chilogrammo di semola.
Le uova possono essere sostituite da una corrispondente quantità di ovoprodotto liquido fabbricato esclusivamente con uova intere di gallina, rispondente ai requisiti prescritti dal decreto legislativo 4 febbraio 1993, n.65.

Questa pasta deve essere posta in vendita con la sola denominazione pasta all’uovo e deve avere le seguenti caratteristiche: umidità massima 12,50 %, contenuto in ceneri non superiore a 1,10 su cento parti di sostanza secca, proteine (azoto x 5,70) in quantità non inferiore a 12,50 su cento parti di sostanza secca, acidità massima pari a 5 gradi, estratto etereo e contenuto degli steroli non inferiori, rispettivamente, a 2,80 grammi e 0,145 grammi, riferiti a cento parti di sostanza secca. Il limite massimo delle ceneri per la pasta all’uovo con più di 4 uova è elevato mediamente, su cento parti di sostanza secca, di 0,05 per ogni uovo o quantità corrispondente di ovoprodotto in più rispetto al minimo prescritto.

Nella produzione delle paste, delle paste speciali e della pasta all’uovo è ammesso il reimpiego, nell’ambito dello stesso stabilimento di produzione, di prodotto o parti di esso provenienti dal processo produttivo o di confezionamento; è inoltre tollerata la presenza di farine di grano tenero in misura non superiore al 3 per cento. La pasta prodotta in altri Paesi (soggetti ad altri regolamenti), in tutto o in parte con sfarinati di grano tenero e posta in vendita in Italia, deve riportare una delle denominazioni di vendita seguenti:

  • pasta di farina di grano tenero, se ottenuta totalmente da sfarinati di grano tenero
  • pasta di semola di grano duro e di farina di grano tenero, se ottenuta dalla miscelazione dei due prodotti con prevalenza della semola
  • pasta di farina di grano tenero e di semola di grano duro, se ottenuta dalla miscelazione dei due prodotti con prevalenza della farina di grano tenero.

 

Pasta fresca

Produzione casalinga di pasta fresca ripiena (cappelletti)

La legge italiana consente la preparazione di paste fresche secondo le prescrizioni stabilite per le secche, eccetto che per l’umidità e l’acidità, che non deve superare il limite di 7 gradi.

Le paste alimentari fresche, poste in vendita allo stato sfuso, devono essere conservate, dalla produzione alla vendita, a temperatura non superiore a +4 °C, con tolleranza di 3 °C durante il trasporto e di 2 °C negli altri casi; durante il trasporto dal luogo di produzione al punto di vendita devono essere contenute in imballaggi, non destinati al consumatore finale, che assicurino un’adeguata protezione dagli agenti esterni e che rechino la dicitura “paste fresche da vendersi sfuse”.
Il consumo del prodotto deve avvenire entro cinque giorni dalla data di produzione.

Le paste alimentari fresche, poste in vendita in imballaggi preconfezionati, devono possedere i seguenti requisiti:

  1. avere un tenore di umidità non inferiore al 24 per cento;
  2. avere un’attività dell’acqua libera (Aw) non inferiore a 0,92 né superiore a 0,97;
  3. essere state sottoposte al trattamento termico equivalente almeno alla pastorizzazione;
  4. essere conservate, dalla produzione alla vendita, a temperatura non superiore a +4 °C, con una tolleranza di 2 °C.

Per facilitare i trasporti ed allungare la conservazione è consentita la preparazione di paste fresche stabilizzate, ossia paste alimentari che abbiano un tenore di umidità non inferiore al 20 per cento, un’attività dell’acqua libera (Aw) non superiore a 0,92 e che siano state sottoposte a trattamenti termici e a tecnologie di produzione che consentano il trasporto e la conservazione a temperatura ambiente.

Negli ultimi anni, inoltre, le industrie alimentari hanno proposto la pasta in vari formati cotti, conditi secondo ricette tradizionali e poi surgelati che, come tali, sottostanno anche alle norme sulla surgelazione. È proposta, sempre precotta ma non surgelata, anche in confezioni sigillate utilizzabili a breve scadenza.

 

Cinese

Per quanto riguarda le tradizioni straniere, va segnalata innanzitutto quella cinese, che da lungo tempo contende il primato all’italiana. La cucina cinese utilizza un gran numero di tipi di pasta, 麵 o semplificato 面, o miàn in pinyin. Mian sono le paste di grano mentre 粉 o fen sono quelle di riso.

Pasta esposta in una cucina cinese Jiaozi (Shui jiao) Canton Wonton mian Pechino Zhajiang mian Sichuan Dan-dan mian

 

Giapponese

 

Udon (Tempura Udon) Soba (Hegi soba) Sōmen Nagoya Kishimen Ramen (L’origine cinese)

 

altre orientali

Gli orientali sono anche i primi produttori e consumatori di paste pronte confezionate.

Korea Naengmyeon Malaysia e Singapore Hokkien mee Thailandia Pad Thai Myanmar Mohinga Vietnam Phở

Nella prima foto è visibile una selezione di diverse paste precotte (ramen, yakisoba e altre):

  • in alto: prodotti giapponesi
  • al centro: prodotti coreani
  • in basso da sinistra: prodotti cinesi, thailandesi, vietnamiti.

Dalla seconda foto ci si può fare un’idea di quanto spazio venga dedicato alle paste istantanee nei supermercati Saigon Tax Trade Center, Ho Chi Minh City, Vietnam.

 

Araba

Couscous

Oltre ad aver introdotto riso e pasta, grazie agli arabi di Sicilia e di Spagna, la cultura alimentare islamica ha influenzato l’Europa cristiana facendo aumentare l’uso delle spezie, introducendo nuove verdure, come melanzane e spinaci, nuovi frutti e nuovi prodotti come la canna da zucchero; portò il gusto per le consistenze cremose, i profumi e l’agrodolce. È vero altresì che la tradizione romano-ellenistica fu alla base della cultura islamica. Lo si vede chiaramente nella scienza dietetica sviluppatasi sui classici greci e latini grazie a medici e scrittori arabi.

Una prima testimonianza di tagliatelle bollite risalente al V secolo d.C. si trova a Gerusalemme nel Talmud in lingua aramaica.

Oltre le già citate itryya diverse sono le preparazioni, più o meno simili alle italiane:

  • Couscous, granelli di semola e acqua di varie grandezze da abbinare a numerosi condimenti
  • Rishtâ (in Oriente) o itryya (in occidente, da cui alatria in catalano) simili a spaghetti
  • Reshteh simili ai capellini
  • Shaʿïriyya, (in Oriente da sha’r, «capello») pasta corta cotta in brodo e condita di grasso
  • Fidäwish (da cui lo spagnolo fideos)[23]simili a fidelini, utilizzati nei paesi del Maghreb per minestre di verdure e carne secca
  • Kunafi, strisce dolci di pasta, farcite con formaggio, noci e sciroppo
  • Mantou, una pallottola di pasta bollita farcita con carne d’agnello tritata
  • Muhalabiyyah, un budino di semola servito freddo

Oltre quelle già descritte, sul mercato italiano crescono i consumi di paste con caratteristiche diverse, come quelle destinate alla dieta dei celiaci.
Queste paste dietetiche vengono prodotte interamente con sfarinati privi di glutine quali sono quelli di riso o di mais che hanno la più larga diffusione. Per la pasta di riso, in particolare, sono anche in corso delle spinte di marketing da parte delle aziende produttrici per farla entrare nelle abitudini dell’intera popolazione.

 

Elenco dei tipi di pasta

 

Forme

Pasta lunga

Pasta in nidi o matasse

Le paste preparate industrialmente, artigianalmente o tradizionalmente in famiglia possono essere distinte, in base alla forma, nelle categorie seguenti:

  • paste lunghe
    • a sezione tonda come vermicelli e spaghetti
    • a sezione forata come bucatini e ziti
    • a sezione rettangolare o a lente come trenette e linguine
    • a spessore largo come lasagne e reginette
  • paste in nidi o matasse
    • a spessore largo come pappardelle
    • a spessore ridotto come capellini, tagliolini e fettuccine
  • paste corte
    • lunghe come rigatoni, sedani, fusilli, penne e garganelli
    • medie come pipe, conchiglie, ditali e orecchiette
  • paste minute o pastine specifiche per minestre come quadrucci, stelline e ditalini
  • paste ripiene come tortellini, ravioli, agnolotti e cannelloni
  • paste fantasia di forme assai varie ed insolite

In base al tipo di superficie, le paste si dividono ancora in due categorie:

  • lisce, apprezzate per la leggerezza
  • rigate, apprezzate per la capacità di trattenere i sughi

Viene infine considerata la ruvidezza della superficie che aiuta la salsa ad attaccarsi e rende il contatto in bocca più gustoso. Essa cambia in base alla tecnica ed agli strumenti di produzione pertanto si apprezzano le più rugose e porose

  • pasta fatta a mano (cioè con tavola e matterello)
  • pasta trafilata al bronzo.

Colori

 

Pasta corta

Aggiungendo particolari ingredienti agli impasti è possibile dare ai vari formati anche diversi colori:

  • verde con spinaci lessati, basilico o prezzemolo appena scottati e frullati
  • rosso con rape rosse lessate e frullate o concentrato di pomodoro
  • arancione con carote o zucca cotte, frullate ed eventualmente fatte asciugare sul fuoco
  • giallo con zafferano o curry stemperati in poca acqua tiepida
  • marrone con cacao amaro
  • nero con inchiostro di seppia

Sapori

 

Pasta corta

Il sapore di una pasta viene dato da un’abile combinazione dei seguenti elementi:

Sfarinati

Oltre alla farina di grano tenero ed alla semola di grano duro che sono le più usate, se ne possono lavorare numerosi altri come quelli di farro, di riso, di orzo, di castagne, di grano saraceno, ecc. Ognuna di queste farine conferirà il proprio carattere incidendo sia nel gusto, sia nella consistenza.
Nella scelta degli sfarinati, è di fondamentale importanza tenere presente il loro contenuto in glutine perché influisce nella tenuta dell’impasto e nella resistenza alla cottura che aumentano proporzionalmente ad esso. Durante la cottura, infatti, le due proteine gliadina e glutenina contenute negli sfarinati si legano all’acqua formando una specie di rete. Le proteine della semola formano una rete a maglie strette imprigionando l’amido che renderebbe collosa la pasta; quelle della farina di grano tenero formano una rete a maglie larghe che più difficilmente trattiene l’amido della pasta che tenderà a scuocere.

Aromi

 

Pasta minuta

Si intende il termine in senso molto ampio fino a comprendere tutti gli ingredienti che possono essere mescolati all’impasto rendendolo più saporito. Primo per importanza è l’uovo perché, oltre ad arricchire il sapore, ha la capacità di legarsi alle particelle della farina e di altri ingredienti rendendo l’impasto vischioso, più facile da formare e di maggior consistenza dopo la cottura; subito dopo l’olio extravergine di oliva che all’impasto dà elasticità e plasticità; terzo è il sale che contribuisce a rafforzare la maglia glutinica, pur irrigidendo un po’ l’impasto.
Oltre questi c’è una lunga serie di alimenti tanto vari quanto la fantasia: pangrattato, formaggi, erbe varie secche o fresche tritate a polvere, spezie, peperoncino etc.

Ripieni [

La pasta può essere farcita chiudendo nell’impasto a base di farina un ripieno che potrà essere a base di carne, di formaggi, di verdure o di pesce. Alcune varianti regionali o di alta cucina prevedono anche farcie dolci come marmellate o ricotta debitamente condita, zucchero e scorzetta di limone ed anche succo d’arancia. Il ripieno è un diverso tipo di impasto ottenuto dalla lavorazione appropriata agli ingredienti affinché assumano consistenza cremosa o pastosa, a volte con qualche pezzetto più grosso ma non troppo da bucare la pasta esterna.

Condimenti

Sono vestiti di colore e sapore tagliati su misura per le diverse paste, per le diverse occasioni. Comprendono preparazioni molto diverse tra loro, sia per i componenti sia per le tecniche di cottura: sughi e ragù, besciamelle e vellutate, fondute di formaggi e riduzioni di panna, vegetali crudi o emulsioni di grassi e brodi caratterizzate variamente con un ingrediente distintivo, etc. A queste si aggiungono elementi più semplici, spesso da unire all’ultimo minuto, come grassi e formaggi. Protagonista indiscusso fra tutti i condimenti è il pomodoro che, entrando a far parte di numerosissime preparazioni, ha contribuito al successo del piatto più famoso della cucina nostrana ed ora ne è considerato il “classico” accompagnamento. Solamente l’olio extravergine di oliva e il parmigiano hanno un’importanza paragonabile per l’uso che se ne fa e per la loro origine tipicamente italiana. Qualunque sia, il condimento deve risultare alla fine giustamente cremoso, non acquoso né troppo asciutto. A tal fine bisogna regolarsi sul formato di pasta, più o meno capace di trattenere e assorbire la salsa, per poter scegliere la tecnica e il tempo di cottura adeguati. Ci sono ovviamente anche dei condimenti dolci da abbinarsi a particolari ripieni (ad es. il miele per le seadas sarde) oppure a caratterizzare una pasta semplice (ad es. i maccheroni con le noci umbri) e perfino a mescolarsi con quelli salati (ad es. in alcuni tipi di timballo siciliani).

 

Pasta al pesto

La lessatura è il sistema più diffuso per la cottura della pasta. Nella cucina casalinga essa avviene solitamente in una pentola riempita di acqua e messa a scaldare sopra una fiamma; nelle cucine professionali per la lessatura è previsto un apposito bollitore. L’acqua deve essere salata con circa 10 gr di sale da cucina per ogni litro, prevedendone almeno 1 litro per ogni 100 grammi di pasta, e la pasta deve essere gettata quando essa ha già raggiunto l’ebollizione. È necessario mescolare per evitare che la pasta formi blocchi compatti. La fiamma deve essere mantenuta sempre molto forte. La cottura può durare da 3 a 25 minuti, a seconda del formato di pasta. L’esatta durata della cottura influenza in modo notevole la digeribilità dell’alimento: per consuetudine si usa dire che a fine cottura deve essere “al dente”, cioè moderatamente cotta, in modo da conservare una certa resistenza alla masticazione.

Se si tratta della preparazione di pastasciutta, dopo la lessatura, la pasta viene scolata ed amalgamata al condimento nel piatto di portata (per es. con il pesto), direttamente in quello di servizio (per es. con olio e parmigiano), oppure ripassandola prima con una salsa, in padella a fuoco vivace, e poi mantecandola con un grasso ed eventualmente un formaggio, a fuoco spento (per es. con salsa all’amatriciana e formaggio pecorino). Alcuni formati si prestano ad essere consumati anche freddi, insaporiti a piacere.
Per la pasta in brodo, che può essere fresca (es. “quadrucci”), secca (es. “pastina”) o ripiena (es. “tortellini“), si prevede che la pasta sia lessata e servita in un brodo di carne o vegetale, prodotto con sostanze naturali oppure con dadi o brodo di carne concentrato, confezionati dall’industria alimentare.

Un metodo adottato per valutare la qualità della pasta di grano duro, è la misurazione del grado di trasparenza dell’acqua di cottura.

Pasta al forno [

La pasta bollita fino a metà cottura viene scolata, freddata, condita e passata in forno tradizionale a completare la cottura (ad es. lasagne o timballi).

Frittura

La frittura della pasta è piuttosto rara, ed è utilizzata nella tradizione soprattutto per le preparazioni dolci o, da moderni chef, per ottenere paste croccanti da abbinare a salse particolari. Nella cucina napoletana è diffusa la frittata di maccheroni, dove la pasta viene fritta dopo essere stata lessata e unita all’uovo e, possibilmente, altri condimenti. Diffuso nel Salento è un piatto chiamato ciceri e tria (ceci con la tria), in cui metà della pasta (tria) è fritta in olio bollente e successivamente mescolata a pasta precedentemente bollita insieme ai ceci. In tutta italia un dolce di carnevale tipico chiamate frappe nel centr’italia e fatte di strische di pasta fritte e spolverate di zucchero a velo. In alcune preparazioni dolci d’origine marocchina (Halwa Shebakia) la pasta viene poi ribollita nel miele. Più diffusa è invece nella cucina cinese.

Le paste industriali precotte e già condite, surgelate o meno, devono essere solo scaldate in padella, al forno tradizionale o al microonde, e saranno pronte in pochi minuti. A livello industriale esistono moderni impianti di cottura in bagno d’acqua o precottura con vapore o acqua nebulizzata, associati eventualmente agli impianti di pastorizzazione.

 

Sfogliatura a mano della pasta

Taglio della pasta in tagliatelle

Pochi sono gli strumenti essenziali legati tradizionalmente alla produzione della pasta: spianatoia, matterello, spatola e coltello.
La spianatoia, una larga tavola di legno senza nodi, avvallamenti o rigature, pur se vietata dalle moderne norme che regolano i pubblici esercizi e sostituita con piani di acciaio, rimane un ottimo strumento per la confezione di paste fresche in quanto il legno toglie umidità agli impasti per non dover eccedere con la farina di spolvero e trasmette la sua rugosità alla sfoglia conferendole un particolare potere di tenuta dei sughi e piacevolezza al tatto difficilmente riproducibile. Il matterello, un cilindro di legno con un diametro di almeno 3-4 cm e diverse lunghezze, viene fatto girare sulla sfoglia o arrotolato nella stessa per assottigliarla. La spatola, in metallo o in plastica, serve a raccogliere l’impasto dalla spianatoia. Il coltello, alto e rettangolare, naturalmente per tagliare. In alternativa a matterello e coltello è possibile aiutarsi a stendere e tagliare la pasta in sfoglia con una macchina apposita.

Macchina “tirapasta”

Oltre questi utensili, per dare agli impasti le forme più disparate, si possono usare pettini, ferri da calza o a sezione quadrata, trafile o quant’altro la fantasia suggerisce.

Gli impasti casalinghi prevedono generalmente l’uso delle uova. Indicativamente, per ogni porzione, se ne impasta uno con 100gr. di farina di grano tenero o con 80gr.di semola di grano duro; le dosi vengono dimezzate nel caso della pasta ripiena. Quando si stende la pasta molto sottile col mattarello su una superficie è possibile incorrere nel cosiddetto paradosso della pasta: infatti, se la pasta è umida si incolla facilmente al mattarello o alla superficie, e non si lascia stendere. Se però asciugata con l’aggiunta di farina diventa molto friabile, rischia di creparsi e perdere coesione. Solo l’esperienza può fornire l’esatta percezione tra umidità e asciuttezza per ottenere sfoglie molto sottili col mattarello. La macchina tirapasta permette di ovviare più facilmente a questo problema.

 

Trafilazione della pasta

I processi principali della produzione della pasta sono:

  • Macinazione del frumento
  • Impasto e gramolatura

La semola si impasta con acqua, in modo da legare l’amido ed il glutine; l’impasto viene poi amalgamato e omogeneizzato con una macchina chiamata gramola

  • Trafilazione

L’impasto viene poi estruso attraverso una trafilatrice, che ne imprime la forma desiderata. Se la trafila è in bronzo, la superficie della pasta risulterà lievemente rugosa, rendendo la pasta più adatta a trattenere sughi e condimenti.

  • Laminazione

(alternativo all’estrusione) L’impasto viene passato attraverso serie di cilindri contrapposti dalla distanza decrescente fino ad ottenere una sfoglia dello spessore desiderato. Tale sistema evita alla pasta la temperatura (80 c° o superiore) e la pressione (10 bar o superiore) cui è sottoposta la pasta nel processo di trafilazione/estrusione.

  • Essiccamento

A seconda dei tipi la pasta viene essiccata mediante aria calda, con tempi e procedimenti diversi. Per legge l’umidità finale non può superare il 12,5%, partendo da una percentuale di umidità pari a circa il 35%.

  • Raffreddamento e confezionamento

Valori nutritivi

Le paste alimentari hanno alto contenuto in glucidi sotto forma di amido (circa 80%) e un comunque notevole contenuto in protidi (circa 10%), pure se quest’ ultimi hanno insufficiente contenuto in amminoacidi essenziali. Le carenze nutritive riguardano il contenuto di grassi e quello di vitamine; risulta fortemente squilibrato l’ apporto di minerali per la prevalenza del potassio. Pertanto sarà utile ai fini del Carico di Indice Glicemico, introdurre all’interno del pasto le verdure per le vitamine; carni e legumi per completare l’apporto proteico, si ricordi il pesce per l’apprto di acidi grassi omega 3; i formaggi per i lipidi; gli oli vegetali, fra cui primeggia l’olio d’oliva, per gli acidi grassi insaturi. Le kcal apportate da 100 gr. di pasta si aggirano intorno alle 350, equivalenti a 1487 kJ.

 

Gli spaghetti nel cinema .

Interrogando la bibbia del cinema mondiale, Internet Movie Database, si trovano 33 film con la parola italiana  “spaghetti” nel titolo, ed ulteriori 13 titoli con la parola inglese “noodles” nel titolo:

1. Mafia! (1998)

alias “Jane Austen’s Mafia!” – USA (titolo originale) alias “Mafia! – Eine Nudel macht noch keine Spaghetti!” Germania

2. Tampopo (1985)

alias “Tampopo – Os Brutos Também Comem Spaghetti” – Brasile

3. Western Spaghetti (2009)
  4. La gang che non sapeva sparare (1971)

alias “The Gang That Couldn’t Shoot Straight” – USA (titolo originale)

alias “Spaghetti Killer” – Germania, Ungheria

5. Lena’s Spaghetti (1994)
6. Cipolla Colt (1976)

alias “Spaghetti Western”

7. Don’t Forget to Eat Your Spaghetti, Johnnie (1999)
8. Spaghetti a mezzanotte (1981)

alias “Love Spaghetti Love” – Germania

9. Spaghetti House (1982)
10. The Spaghetti West (2005) (V)
11. Crash! Che botte… (strippo, strappo, stroppio) (1974)

alias “Crash che botte!” – Italia (titolo originale)

alias “Drei Spaghetti in Shanghai” – Germania

12. Italian Soldiers (2001)

alias “Spaghetti Requiem” – USA

13. “Meatballs and Spaghetti” (1982) (Serie TV)
14. Messaggi quasi segreti (1997)

alias “Spaghetti Slow” – Italia (titolo di lavorazione)

15. Spaghetti & Matzo Balls (2005)
16. The Wiggles: Cold Spaghetti Western (2004) (V)
17. Bound in Spaghetti (1919)
18. Jagger und Spaghetti (1984)
19. Kaviaar of Spaghetti (1968) (TV)
20. Polish Spaghetti (2001)
21. Society Goes Spaghetti (1930)
22. Spaghetti a la Mode (1915)

alias “Spaghetti and Lottery”

23. Spaghetti à la romaine (1965)
24. “Spaghetti Family” (2003) (Serie TV)

alias “Oikogeneia Spaghetti” – Grecia

25. Spaghetti for Two (1921)
26. Spaghetti Night (2009)
27. Spaghetti Two Step (1977) (TV)
28. Spaghetti und Whisky – Der Schulfotograf (2000) (TV)
29. Spaghetti vs Noodles (2005)
30. Spaghetti Western Trailer Show (2007) (V)
31. The Old Spaghetti Factory (2000)
32. The Spaghetti Story (1957) (TV)
33. Western Spaghetti (2007)

 

 

1. Noodles and Nedd (1997)

alias “Noodles y Nedd” – Argentina

2. Dry Noodles (1986)
3. Pasongsong gyerantak (2005)

alias “Cracked Eggs and Noodles” – (titolo Inglese)

4. Chop Suey and Noodles (1926)
5. Cold Noodles (2009)
6. I Deliver the Noodles with Bean Sauce That Way (2007) (V)
7. Instant Noodles (2008)
8. Noodles’ Return (1914)
9. Nuts and Noodles (1918)
10. Pins and Noodles (1998) (TV)
11. Ramen Noodles (2009)
12. Spaghetti vs Noodles (2005)
13. The Lost Films of Hedda Redair and Noodles Nilsen (2007)

 

Ma gli spaghetti compaiono , fisicamente, o anche solamente nominati, in un numero molto più elevato di film. Mi limiterò quindi a citare, nell’elenco che segue,  i titoli che mi sono sembrati più significativi, paradigmatici e prototipici.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ INDIGESTI…

Sono quelli de : “La Febbre dell’Oro”, di Charlie Chaplin, in cui l’affamatissimo Charlot, in totale mancanza d’altro, nel mezzo di una landa innevata, cuoce uno dei suoi scarponi , per servire la pietanza con maestria , al suo compagno di sventura ed a sé stesso, gustandone la suola e arrotolando le stringhe con la forchetta, come fossero dei reali spaghetti.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ SFORBICIATI

Sono quelli di : “Daddy”, 1923, di E. Mason Hopper;, in cui il piccolo Jackie Coogan (l’indimenticabile “monello” del celeberrimo film di Chaplin) è il figlio di un violinista italiano, Paul Savelli (Arthur Carewe), che per una serie di circostanze sfortunate lascia la moglie gelosa (Josie Sedgwick), la quale si rifugia in campagna dove ben presto muore. Affidato alle cure di due amabili vecchietti, quando essi vengono sfrattati, Jackie se ne va da solo in città col violino lasciatogli dalla madre. Qui incontra un vecchio violinista di strada (Cesare Gravina) che decide di prendersi cura di lui. Il caso vuole che il vecchietto sia il maestro di musica del padre, il quale, diventato ormai famoso, tiene un concerto proprio nella loro città. Jackie lo convince ad andare a trovare il vecchio maestro morente e quando questi gli chiede di suonare la ninna nanna che gli aveva insegnato, s’innesca la scontata agnizione tra padre e bambino. Citando esplicitamente “Il Monello”, Jackie si prende la rivincita su Charlot in alcune gag comiche: alle prese con italianissimi spaghetti risolve il problema di come affrontarli con le forbici, mentre Gravina gli fa una lezione del (discusso) uso di cucchiaio e forchetta allo scopo.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ AFRODISIACI

Sono quelli de : “Il Dormiglione”, 1974, di Woody Allen, in cui il protagonista, lo stesso Allen, ibernato durante una operazione chirurgica non riuscita, si risveglia circa 200 anni dopo in un futuro in cui stenta a ritrovarsi. Parlando con un ragazza di quell’epoca, Diane Keaton, scopre inorridito che gli esseri umani praticano il sesso solo attraverso dei sofisticati macchinari. In quanto le donne sono tutte frigide e gli uomini tutti impotenti. Ad eccezione di quelli di origine italiana. “Deve essere qualcosa negli spaghetti!”, ipotizza Allen come spiegazione.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ DEODORIZZATI…

Sono quelli di: “La Strana Coppia”, 1968, di Gene Sacks, in cui la coppia di attori brillanti più famosa di Hollywood, quella formata dagli impagabili Jack Lemmon e Walter Matthau, si scambiano gustosi dispettucci da ragazzini. Lemmon, servitosi a tavola un invitante piatto di spaghetti, prima di accingersi a gustarli, spegne il televisore che sta guardando Matthau, sdraiato sul divano. Quest’ultimo, per immediata vendetta, si alza a comincia a spruzzare un abbondante deodorante spray sul tavolo da pranzo, puntando l’ultimo getto proprio sulla forchettata di spaghetti che Lemmon sta per ingurgitare.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ DOLENTI

Sono quelli di: “Saturno Contro”, 2007, di Ferzan Ozpetek, in cui uno straordinario Pierfrancesco Favino, schiantato per la morte del suo amato compagno di vita, Luca Argentero, si rinchiude in una solitudine depressa e addoloratissima, cuocendosi degli spaghetti, che mangia malvolentieri, senza alcun condimento, in piedi, in cucina.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ RUMOROSI

Sono quelli di: “Tampopo”, 1985, di Juzo Itami, in cui una maestra cinese di bon ton istruisce delle giovani sulla più corretta maniera di mangiare degli italiani spaghetti alle vongole. Partendo dall’arrotolamento sulla forchetta  e raccomandando di metterli in bocca evitando accuratamente di produrre il tradizionale suono della bocca per effettuare il risucchio. Nel pieno della lezione, si sente un sonorissimo risucchio di spaghetti da parte di un cliente del ristorante, seduto ad un tavolo non lontano. Segue una esilarante successione di risucchi, in tutte le tonalità, da parte delle allieve, con grave disappunto della compitissima insegnate. Alla quale non rimarrà che, rassegnata, risucchiare a sua volta i suoi spaghetti…

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ TEMPESTOSI…

Sono quelli di: “Piovono Polpette”, 2009, di Phil Lord e Chris Miller, in cui un avventato inventore ha proiettato in orbita una macchina che trasforma l’acqua in cibo. Se all’inizio piovono panini con hamburger, cotti e pronti da mangiare, man mano che alla macchina vengono chieste prestazioni più complesse con variazioni di menù, le dimensioni dei cibi che piovono in terra assumono proporzioni mostruose, con bistecche grandi come un tavolo da pranzo, sino ad un vero e proprio urgano di spaghetti giganti, con immancabili (per gli USA) polpette, di dimensioni monstre, che incombono, minacciosi, sugli sventurati abitanti del luogo.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ CONDIVISI

Sono quelli di: “Ricette d’Amore”, 2001, di Sandra Nettelbeck, in cui uno straordinario Chef, la deliziosa Martina Gedek, vede la sua vita sconvolta dalla morte di sua sorella e dal fatto di doversi occupare della nipotina, restata sola. Il rapporto tra zia e nipote è difficile. La ragazzina, traumatizzata, si rifiuta di mangiare. Lo chef italiano Sergio Castellitto, chiamato dalla proprietaria del ristorante a dare supporto alla cucina, e che deve affrontare una patente ostilità della Gedek, con il suo savoir faire e con uno stratagemma, riesce a far mangiare alla piccola un piatto di spaghetti pomodoro e basilico che aveva fatto per sé.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ NERI

Sono quelli di: “La mazzetta”, 1978, di Sergio Corbucci, in cui un avvocato napoletano , interpretato da Nino Manfredi , viene prelevato a casa sua da due camorristi e portato in un ristorante dove è ad attenderlo un boss che gli vuole estorcere delle informazioni. Vengono serviti a Manfredi degli spaghetti nerissimi di polipetti affogati. Piccantissimi, un vero veleno per l’ulcera che affligge l’avvocato. Il quale vien costretto, tuttavia,  a mangiarne una quantità davvero drammatica.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ CARI

Sono quelli di: “Fantozzi”, 1975, di Luciano Salce, in cui il famosissimo Ragionier Fantozzi, creato dalla fantasia letteraria ed interpretativa del miglior Paolo Villaggio, viene imprigionato in una clinica lager nella quale la terapia consiste nel digiuno assoluto. In effetti si tratta di una associazione a delinquere che lucra vendendo nottetempo agli sciagurati pazienti succulenti piatti di pasta a prezzi da capogiro. Fantozzi finché ce la fa, rifiuta sdegnosamente l’offerta. Salvo cedere miseramente , firmando cambiali per la incredibile cifra di 180.000 lire dell’epoca, per un piatto di “Spaghetti alla Montecristo”, dotati di lima per segare le sbarre e tentare una salvifica evasione.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ ATTONITI…

Sono quelli di: “L’audace colpo dei soliti ignoti”, 1960, di Nanni Loy. Se nel precedente “I soliti ignoti” il “bottino” della banda del buco si limitò al più famoso piatto di pasta e ceci della storia del cinema mondiale (con numerose citazioni omaggio, tra cui quella prestigiosa del maestro Woody Allen in “Criminali da Strapazzo”) , nel sequel, una giovane e prorompente Claudia Cardinale , mentre sta per mettere a tavola una grossa ciotola di fumanti spaghetti, viene interrotta dalla polizia che fa irruzione nell’appartamento lasciandola attonita ed impietrita, tanto da farle mollare la spaghettiera, che si infrange sul pavimento.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ CRUDI

Sono quelli di: “Spaghetti House”, 1982, di Giulio Paradisi, in cui Nino Manfredi, sequestrato ed ostaggio a Londra, nella dispensa del ristorante italiano di cui al titolo, in mancanza d’altro , è costretto a mangiare spaghetti crudi, solo intinti in salsa di pomodori in scatola. Uno dei suoi colleghi malcapitati dice: “Buona! Ma perché non ci abbiamo pensato prima!” e Manfredi gli risponde “Perché cotta è meglio!”.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ AL DENTE

Sono quelli di: “A me mi piace”, 1985, di Enrico Montesano, in cui lo stesso Montesano rimprovera aspramente l’amante americana perché gli aveva servito degli spaghetti scotti mentre lui li preferiva al dente. Il risultato? Che la volta dopo se li è visti servire praticamente crudi!.

 

 

LI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ “TENERI”

Sono quelli di: “Lilli ed il Vagabondo”, 1955, di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske, in cui la coppia di cagnolini di animazione più famosa della storia del cinema condivide un piattone di spaghetti al sugo di polpette (gli americani proprio non riescono a scindere il concetto di spaghetti da quello di polpette…), fino a quando non risucchiano da lati opposti lo stesso spaghetto, per ritrovarsi, man mano che la residua lunghezza di spaghetto si accorcia, labbra contro labbra, nel bacio più tenero, languido e famoso della storia del cinema d’animazione.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ MEDICAMENTOSI

Sono quelli di: “Le Grand Bleu”, 1988, di Luc Besson, in cui il record man di immersioni in profondità Enzo Maiorca , interpretato da un efficacissimo Jean Reno, usava a scopo curativo i medicamentosi spaghetti cucinati da sua zia.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ TENNISTICI…

Sono quelli di: “L’appartamento”, 1960, di Billy Wilder, in cui Jack Lemmon cucina degli spaghetti per la deliziosa Shirley MacLaine e, non avendo lo scolapasta, usa all’uopo una racchetta da tennis (per poi condirli con le immancabili polpette!).

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ TRUCULENTI

Sono quelli di: “Ferdinando e Carolina”, 1999, di Lina Wertmuller, in cui , durante i moti napoletani, tra le tante atrocità, il sangue che sgorga copiosa da una testa umana appena separata dal corpo da un colpo di ghigliottina, viene usato per dare un po’ di “colore” supplementare… ad un tradizionale piatto di spaghetti al pomodoro napoletano (senza polpette…).

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ “PROIETTATI”…

Sono quelli di: “C’eravamo tanto amati”, 1974, di Ettore Scola, in cui una giovanissima Stefania Sandrelli, dopo aver aspettato per lungo tempo al ristorante il cinico donnaiolo Vittorio Gassman, quando finalmente arriva, irritatissima, gli “proietta” in faccia gli spaghetti che aveva davanti.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ COMPATTI

Sono quelli di: “Hanno rubato un tram”, 1954, di Mario Bonnard, Aldo Fabrizi e Sergio Leone, in cui il tranviere Aldo Fabrizi, essendo tornato a casa in ritardo, vi trova gli spaghetti nel piatto, talmente incollati e compatti, da essere diventati un corpo unico…

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ MARZIALI….

Sono quelli di: “Kung-fu Panda”, 2008, di Mark Osborne e John Stevenson, in cui un simpatico e goffo panda è un patito delle arti marziali, nelle quali fantastica continuamente di diventare un campione, ma deve fare i conti con la sua quotidiana attività di venditore di spaghetti in brodo.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ SCROCCATI

Sono quelli di: “Tachiguishi Retsuden (Ladri di spaghetti)”, 2006, di Mamoru Oshii, che illustra i più vari, strani e geniali stratagemmi per scroccare spaghetti in brodo.

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ REPUBBLICANI…

Sono quelli di: “Miseria e Nobiltà”, 1954, di Mario Mattoli, in cui uno straordinario Totò festeggia a modo suo la vittoria nello storico referendum tra Monarchia e Repubblica, montando in piedi sul tavolo, danzando e affondando a piene mani nella enorme spaghettiera, mettendosene a piene manciate in bocca, e, perfino, in tasca.

 

GLI SPAGHETTI IN CELLULOIDE PIU’ MITICI

Sono quelli di: “Un Americano a Roma”, 1954, di Steno, in cui un giovanissimo Alberto Sordi stravede per il mito americano che si va imponendo in Italia dall’immediato dopo-guerra, sino a scimmiottare il modo di essere e di vivere degli statunitensi. Rincasando a tardissima notte, Sordi scansa il piatto di spaghetti che gli aveva lasciato la madre sul tavolo della cucina, per approntarsi una cena tipicamente americana, secondo la sua distorta visione, a base di latte, senape, mostarda, ecc. Dopo aver assaggiato, e subito sputato, l’orribile intruglio che aveva messo insieme, torna al tradizionale piatto di spaghetti italici, approcciandoli con una delle battute più mitiche del cinema italiano : “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno, ahmm!”.  La scena, oramai indelebilmente impressa nell’immaginario cinematografico, è una delle più riuscite della lunghissima e fortunatissima carriera di Alberto Sordi. Ed è bello ricordare che fu girata in pochissimi minuti, senza alcuna preparazione, praticamente improvvisata all’impronta. Semplicemente geniale!

Alberto Sordi in Un americano a Roma mentre mangia degli spaghetti.

 

Bibliografia