LA TRAGICA ALLUVIONE DELL’EMILIA E ROMAGNA: INDECENTE DISINFORMAZIONE GIORNALISTICA, di Catello Masullo

LA TRAGICA ALLUVIONE DELL’EMILIA E ROMAGNA: INDECENTE DISINFORMAZIONE GIORNALISTICA

Catello Masullo

 

Domenica 21 maggio (2023) ho guardato dei brani della trasmissione di Fabio Fazio su rai 3, la penultima prima del suo trasferimento ad altra emittente. Sono rimasto sorpreso della indecente disinformazione giornalistica sulla tragedia dell’Emilia e Romagna. Sorpreso perché avevo imparato ad apprezzare l’equilibrio di Fazio nel passato.

Andiamo con ordine. Ho visto per primo il “climatologo” televisivo per antonomasia, Mercalli, il quale ha fatto una citazione giusta, quella della mitica Relazione De Marchi, del 1970, ma traendone conclusioni sbagliate in misura sesquipedale, sperando che siano solo sfondoni e non travisamenti in mala fede (a pensare male si fa peccato…):

  • Al grande scienziato idraulico Giulio De Marchi, che coordinò la commissione di studiosi illustri della materia i quali, dopo l’alluvione di Firenze (e di tutta Italia) del 1966, stilarono un rapporto che è ancora oggi la pietra miliare di quello che si dovrebbe fare, Mercalli attribuisce queste parole, mai dette e mai scritte da De Marchi: “disse che non si doveva fare, anzi che non si doveva fare niente, nessuna altra opera pubblica!” (sigh!). Il rapporto De Marchi, leggere per verificare, sancisce esattamente il contrario. E cioè che se occorreva, da una parte, certamente smettere di consumare suolo con la urbanizzazione selvaggia, causa prima di ogni disastro idrogeologico, ma anche che dall’altra di doveva mettere mano al più grandioso progetto di opere pubbliche per la salvaguardia del territorio. Interventi puntuali e concreti che ancora oggi ci potrebbero salvare se ci fosse la volontà politica di attuare quel geniale disegno di oltre 50 anni fa.
  • Il rubizzo Mercalli ha inoltre proditoriamente affermato che fu fatta la Relazione De Marchi nel 1970, ma ancora oggi siamo senza una legge per la Difesa del Suolo. Una falsificazione clamorosa della realtà. Proprio grazie all’enorme lavoro della Commissione De Marchi, lo Stato Italiano ha promulgato la legge n. 183, del 18 maggio 1989, sulla difesa del suolo. Certo ci ha messo 19 anni, dal 1970, ma, si sa, il legislatore italiano non è stato mai un fulmine di guerra… Però l’Italia, con quella legge, ha fatto scuola. È stato il primo paese in Europa a dotarsi di una poderosa ed efficace legge per la Difesa del Suolo. Che è stata di ispirazione agli altri paesi e alle numerose direttive europee sullo specifico settore, emanate solo molti anni dopo.

Dopo questi sfondoni “mercalliani”, si è passati ai commenti di tre direttori di giornali, in studio, e di una vice-direttrice di giornale, in collegamento da remoto. Tutti giornalisti, “tuttologi” per definizione, e quindi, di fatto “nientologi”, (magicamente) trasformati per l’occasione in opinionisti con la massima autorevolezza sull’argomento. Intendiamoci, sono convinto che siano tutti in buona fede (o, almeno, lo spero).  E che si siano allineati alla narrazione “main stream” dettata dai cosiddetti “riassunti” redatti dagli economisti dell’IPCC (International Panel on Climate Change), i quali riassunti spesso contraddicono e/o distorcono pesantemente quello che si legge nelle migliaia di pagine dei rapporti pubblicati dallo stesso IPCC, stilati dagli scienziati del clima e della fisica di IPCC. Di fatto i giornalisti fanno una enorme confusione tra “negazionisti”, “no-vax”, “terrapiattisti”, “complottisti delle scie chimiche”, che negano le evidenze scientifiche, e scienziati ed esperti veri delle materie idrauliche e climatologiche, che invece richiamano la necessità di riferirsi alle “sole” evidenze scientifiche dimostrate, e non a “teorie”, “modelli previsionali” mai validati, che vengono spacciati per l’unica verità scientifica ufficiale dagli economisti padroni dell’IPCC. E, quindi, nell’occasione, Massimo Giannini, direttore de La Stampa, ha usato parole sprezzanti verso chi, senza farne il nome, aveva “osato”, sommessamente, ricordare che piogge simili si erano verificate anche nel passato ed anche di recente, dandogli, per l’appunto, del “negazionista” e sottolineando che si tratta di un’Italia al contrario (con l’assenso di tutti gli altri “giornalisti” presenti). Mi domando: è mai possibile che il servizio pubblico debba distorcere così platealmente la realtà? E che non si senta il bisogno, tra tanti “tuttologi/nientologi”, di sentire qualcuno che sappia veramente di quello di cui si sta parlando? Che abbia impiegato tutta una vita professionale ad occuparsi di quella materia? E poi, un giornalista che si definisca tale, prima di pontificare non dovrebbe sentire il dovere deontologico di fare almeno una rapida ricerca su Google? Cercando “piogge in Emilia Romagna”, il primo link trovato sarebbe stato questo: https://www.centrometeoemiliaromagna.com/clima, nel quale avrebbe letto: “Nelle ultime 48 ore si sono registrati picchi di 300 millimetri sui bacini del crinale e collina forlivese. Sulla stessa area, sulle colline e montagna ravennati e sul settore orientale del bolognese sono in media caduti tra i 150 e i 200 millimetri. Sulla pianura cesenate forlivese fino a 150 millimetri”. Ma, nello stesso sito, appena più sotto avrebbe letto anche: “Inverno 2020-2021: piogge e neve da record”, 09 MARZO 2021, da CENTRO METEO EMILIA ROMAGNA. Erano anni che l’inverno non risultava così dinamico in Emilia-Romagna: la stagione 2020-2021 ha visto piogge e neve da record, ecco il nostro resoconto con foto e dati aggiornati. L’evento del 4-6 dicembre è risultato molto significativo, con precipitazioni abbondanti e oltre 200 mm in 48 ore sull’Appennino. Si sono verificati importanti episodi di pienacon una rottura nell’argine del Panaro e conseguente alluvione delle aree circostanti”. Cioè esattamente lo stesso ordine di grandezza di pioggia, 200 mm, stessi effetti, danni comparabili e solo due anni fa! Ed ancora più sotto: “Emilia-Romagna: piogge da record e 133 allerte meteo nel 2019. 24 GIUGNO 2020, da FEDERICO ANTONIOLI. Sul periodo 1961-2019 le precipitazioni non mostrano trend significativo, con l’andamento che risulta piuttosto lineare nel tempo. Per quanto riguarda i giorni piovosi sono risultati 128 in regione e anche qui, non si evidenziano particolari trend dal 1961 ad oggi”. È quindi destituita di ogni fondamento la “favola” giornalistica che questa pioggia di questi giorni sull’Emilia Romagna non si era mai verificata prima! Ed ancora, sempre nel sito: “Novembre 2019: le piogge più consistenti degli ultimi 50 anni, 18 DICEMBRE 2019, da FEDERICO ANTONIOLI. Emilia-Romagna: 250 mm di pioggia in 36 ore, fiumi in piena, frane e disagi. Stessa pioggia, stessi danni.

E quelli che leggono i dati misurati sono “negazionisti”? Non saranno negazionisti, invece, quelli che si rifiutano di leggere ed accettare i dati reali e misurati? E sparano invece sentenze ultimative senza essersi documentati?

Il giornalista/opinionista avrebbe dovuto sentire altresì il dovere deontologico di sentire qualche esperto vero. Rivolgersi ad esempio alla Associazione Idrotecnica Italiana, che raggruppa tutti i più grandi esperti ed accademici della materia idraulica, e magari al suo Presidente, il Prof. Armando Brath, il quale, nella sua qualità di Professore Ordinario di Costruzioni Idrauliche, Marittime e Idrologia presso l’Università di Bologna dal 1994, è profondo conoscitore dei luoghi delle recenti tragedie. Ed il quale avrebbe potuto informare il giornalista/opinionista che il Prof. Giulio Supino, luminare e maestro di tanti ingegneri idraulici, che condivideva con il citato Prof. Giulio De Marchi non solo il nome di battesimo , ma anche la passione, la somma sapienza e la co-direzione della Commissione di esperti che ha prodotto il Rapporto De Marchi, già nel lontano 1965, nel suo testo fondamentale “Le Reti Idrauliche”, edizioni Patron, riportava le curve delle precipitazioni massime per i bacini con foce al litorale adriatico, dal Reno al Tronto, con una altezza di pioggia di 294.5 mm al giorno. Ben superiore al valore della pioggia che ha generato i recentissimi disastri. Pur non avendo introdotto ancora nei calcoli gli eventi del 1966, i massimi mai registrati e mai superati nel nostro paese (alluvione di Firenze, massima acqua alta a Venezia di quasi 2 metri, ecc.). Cari giornalisti, volete forse dare del negazionista anche al sommo Prof. Supino? Accomodatevi, da quello che avere già fatto siete sulla strada ottima.  

 

 

Lo capisco che quando si parla di argomenti tecnici, quali la ingegneria idraulica, l’idrologia (la scienza che studia le piogge ed i meccanismi con i quali le piogge si trasformano in fiumi e ruscelli) i più, e tra questi includo i giornalisti senza cultura scientifica specifica sull’argomento, facciano davvero fatica a capire.

 

Allora provo a partire da un esempio molto semplice che un bambino delle elementari dovrebbe essere in grado di capire (o anche la nonna di Einstein, il quale usava dire che “non hai capito bene una cosa fino a quando non riesci a spiegarla a tua nonna”…).

 

Immaginate il terreno naturale di un bosco, lambito da un ruscello, sul quale cadono cento litri di acqua di pioggia, nell’immediato dal bosco escono circa dieci litri di questa acqua e raggiungono il ruscello, che li porta via. Dato che 90 dei 100 litri piovuti in parte si infiltrano nel sottosuolo, in parte vengono trattenuti negli avvallamenti del terreno, in parte vengono trattenuti dalle piante, dalle foglie, in parte evaporano, ecc. Se gli stessi cento litri di acqua cadono, invece, su un centro commerciale costruito dove una volta c’era il boschetto, avendo reso totalmente impermeabile quella area, nell’immediato producono 100 litri di scorrimento, che arrivano di colpo al ruscello. I fiumi ed i corsi d’acqua che per millenni si erano formati ricevendo da quell’area solo 10 litri di acqua ogni cento caduti, se si vedono arrivare di un colpo 100 litri, dieci volte di più, vanno in crisi, straripano e fanno danni (ed anche vittime, come ahinoi abbiamo visto). Come avviene sempre più spesso in Italia ed in tutto il mondo urbanizzato.

 Come si sarebbe potuto evitare tutto questo?

 Serve rivolgersi alla scienza ed alle persone realmente competenti che indichino le strade giuste. Se si vuole realizzare un centro commerciale al posto del boschetto, senza causare danni, occorre applicare i principi della cosiddetta “invarianza idraulica”. Realizzare cioè, assieme al centro commerciale, dei grandi vasconi che trattengano l’acqua di pioggia nel momento dello scroscio e lascino uscire solo i 10 litri di acqua sui cento caduti dal cielo nell’immediato, come avveniva prima della costruzione, facendo restare, per l’appunto, “invariato” il regime idrologico naturale antecedente alla costruzione. Consentendo di uscire i restanti 90 litri solo quando la pioggia intensa (e l’emergenza relativa) sia cessata. Per rispettare l’ambiente ed il regime idrologico dei millenni passati.

Se nei territori inondati di recente si fossero adottate politiche di prevenzione come la citata “invarianza idraulica”, con ogni probabilità, oggi non staremmo a piangere le vittime ed a contare i danni. Gli esperti di settore hanno valutato che per riparare i danni da catastrofe si spende in media dalle dieci alle quindici volte in più rispetto ai costi della prevenzione. Lo dice, d’altra parte, anche la saggezza popolare: “prevenire è meglio che curare”. È però altrettanto vero che dal punto di vista elettorale, portano più voti gli interventi emergenziali post catastrofe, che l’opera oscura della prevenzione fatta quando non se ne sentirebbe l’urgenza immediata.

Come siamo messi a “consumo di suolo” nei territori dell’alluvione in Emilia Romagna? Male. Molto Male. Un giornalista dovrebbe sentire il dovere deontologico di informarsi, prima di pontificare come “esperto” di una materia di cui non sa. “Si costruisce ancora in zona pericolose andando a esporre le popolazioni a un rischio. Ci sono edifici, forse condonati nel tempo, che si trovano a essere a ridosso degli argini dei fiumi. L’impermeabilizzazione del suolo – spiega Giordano dell’Ispra– rende il territorio meno in grado di assorbire l’acqua”. Nella classifica all’interno del rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, edizione 2022, dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Emilia-Romagna è la quarta regione per consumo di suolo, dietro a Lombardia (12,12%), Veneto (11,90%) e Campania (10,49%). Il suo valore supera infatti la media nazionale ed è compreso tra il 7 e il 9%. Inoltre, è terza tra le regioni che hanno registrato un incremento maggiore di consumo di suolo netto in ettari rispetto al 2020. Se al primo posto c’è la Lombardia con 883 ettari in più, seguono il Veneto (+684 ettari), l’Emilia-Romagna (+658), il Piemonte (+630) e la Puglia (+499). La regione travolta dalle alluvioni in questi giorni, riporta un valore sopra la media nazionale (+0,30%) anche riguardo all’aumento di superficie artificiale rispetto al 2021. In quell’anno, l’Emilia-Romagna aveva consumato 200.320 ettari, ovvero l’8,90% del territorio. Bologna è la città emiliana che nel 2021 ha registrato il maggiore consumo di suolo, con 32.981 ettari. Seguono Modena (29.587 ettari), Parma (26.320 ettari), Reggio nell’Emilia (25.413 ettari), Piacenza (19.719 ettari), Ravenna (18.890 ettari), Ferrara (18.720 ettari), Forlì-Cesena (17.274 ettari) e, infine, Rimini (11.417 ettari). Sia capoluogo che tutte le province registrano il segno più rispetto al 2020. Se consideriamo poi il livello di cementificazione di tutti i comuni italiani, Ravenna, con 68 ettari consumo di suolo in più rispetto al 2020, è preceduta solo da Roma.

 

Il problema è nella percezione. Percepiamo che i danni da alluvione siano sempre maggiori e sempre più frequenti. Il che è vero. Ma la causa non è l’aumento degli eventi estremi di pioggia, dato che le piogge sono sempre le stesse da svariarti decenni, come tutti gli studi scientifici seri ci dimostrano, ma la scelleratezza urbanistica di aver dato licenze edilizie a gogò, senza imporre il rispetto della invarianza idraulica.

 

Comunque, cari giornalisti, dato che fate fatica a capire un concetto che sembrerebbe semplice, e cioè che le piogge non sono aumentate, ma che producono danni sempre maggiori perché piovono su terreni sempre più cementificati ed impermeabilizzati, se questi effetti vi piace chiamarli ”cambiamenti climatici”, che fa più “figo”, continuate a chiamarli così. Ma, per favore, non continuate a fornire alibi a politici scellerati. Pretendete da loro, invece, reali politiche di prevenzione e di “adattamento ai cambiamenti climatici”.  Con la realizzazione delle opere che 50 anni fa aveva brillantemente definito il mitico Rapporto De Marchi: vasche di laminazione/espansione, dighe, serbatoi, arginature, manutenzione e pulizia costante dei corsi d’acqua, lotta serrata al consumo di suolo, obbligo di invarianza idraulica. E, soprattutto, affidare le cose a gente di mestiere, con comprovata competenza ed esperienza in ingegneria idraulica, idrologia, ingegneria geotecnica, geologia. Punto!

 

Queste cose le scrivo da anni, sia nella mia attività di ricerca scientifica nell’ambito della ingegneria idraulica, agli atti di convegni nazionali ed internazionali, sia in quella da giornalista. Ricordo che per uno dei primi articoli di divulgazione giornalistica della specie scelsi un titolo provocatorio, ma che ben rendeva l’idea: “Dal dissesto ideologico al dissesto idrogeologico”. Ho notato, con piacere, che sulla stampa, di recente, questo titolo/concetto è stato ripreso: “gutta cavat lapidem!”…, se ne potrebbe dedurre.