IL LEONE RESTA IN VETTA, ANCHE NELLE ANNATE MENO ECCEZIONALI, Catello Masullo

IL LEONE RESTA IN VETTA, ANCHE NELLE ANNATE MENO ECCEZIONALI

Catello Masullo

 

La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia resta anche questo anno sul podio più alto della piramide dei grandi festival di cinema del mondo. Nonostante il 2022 non sarà ricordato, come accade talvolta per i vini, come una annata memorabile. Ci riesce grazie ad una macchina che funziona alla perfezione: “squadra che vince non si cambia”. La capacità di selezione sviluppata negli anni dal Direttore Artistico Alberto Barbera e dalla sua squadra è sempre da primato. Il nuovo Presidente della Biennale, Roberto Cicutto, con la sua rinomata professionalità, ne ha rafforzato e potenziato l’azione. La Mostra ci ha così offerto ancora film di alta qualità cinematografica. Tra i quali spiccano molti film italiani. A cominciare dal Leone d’Argento per la Miglior Regia di “Bones and All”, di Luca Guadagnino, un sorprendente film fantasy/horror dalle tinte forti e realistiche, una prorompente storia di ricerca del significato della vita e della propria identità, da parte di individui segnati da una forte “diversità”, dalle potenti suggestioni metaforiche (siamo nei mitici anni ’80 del “cannibalismo capitalistico”), ma anche una grande, (ossimoricamente) delicata e struggente storia d’amore, la indiscussa specialità di Guadagnino. Per continuare con “Il Signore delle Formiche”, di Gianni Amelio, un film necessario, indispensabile, che riaccende, opportunamente, i riflettori sul “Caso Braibanti”, la storia della più grande discriminazione che si sia perpetrata in Italia (l’unica condanna in Italia, e nel mondo, per plagio). Ed ancora, “Siccità”, di Paolo Virzì, che gioca con i toni, che gli sono familiari, del grottesco, della satira sociale, della fustigazione caustica degli aspetti più deteriori della nostra società, soprattutto dell’aridità (potente la metafora) dei sentimenti, egoismo, ipocrisia, vanità, mitomania, un film di eccellente confezione, con scenografie portentose con una Roma solcata dai canyons di un Tevere totalmente asciutto (efficacemente inquietante). Meritevole di menzione anche il ritorno a Venezia di Emanuele Crialese con “L’Immensità”, un film che tocca le corde dell’anima ed affronta temi alti, come la ricerca dell’identità, il sottile gioco protettivo a vicenda della madre e della figlia, l’importanza del gioco e del sogno, che vengono considerati pazzia dagli adulti, se riguardano un adulto.  “Chiara” di Susanna Nicchiarelli, è un film di alta qualità cinematografica e di straordinaria attualità che porta sul grande schermo la dimensione politica, oltre che spirituale, la “radicalità” delle vite di Chiara e Francesco con l’esempio forte della povertà come personale scelta di vita, con l’impegno di condurre un’esistenza a difesa degli emarginati, resi paria da una società ingiusta, con l’incarnazione di uno spirito rivoluzionario di energia e di contagioso entusiasmo, specie per i più giovani, insignito del Premio di Critica Sociale, quale miglior film italiano, dalla Giuria che mi onoro di presiedere da 7 anni consecutivi e che ho il piacere di condividere con il vice presidente del Cinecircolo Romano, Rossella Pozza. Questo particolare premio è andato anche, come miglior film straniero, a “The Whale”, di Darren Aronofsky, una storia ricca di metafore, di significati, di temi sensibili, come quello dell’isolamento e della discriminazione del diverso e del fragile (anche in quanto diverso), del sacrificio per la redenzione, con una prova attoriale memorabile di Brendan Fraser, che porta il linguaggio del corpo e soprattutto quello degli occhi a vette elevatissime. Di grande livello molte opere internazionali: “Argentina, 1985”, di Santiago Mitre è un capolavoro assoluto, la storia della prima e unica condanna da parte di un paese democratico ad una dittatura militare, talmente clamorosa che si fa fatica a credere che nessuno l’avesse ancora raccontata sul grande schermo, con una troupe di attori insuperabili, capitanata da un mostruoso Ricardo Darìn, dai tempi comici e dai tempi tragici da antologia. “La Syndicaliste”, di Jean-Paul Salomé, storia vibrante ed edificante, che poggia interamente sulle spalle dell’ennesima interpretazione monumentale di Isabelle Huppert, appassionante, coinvolgente. Ancora un capolavoro clandestino dell’iraniano Jafar Panahi, “Khers Nist”, che continua a costruire le sue storie con lo stile del thriller, tenendo sempre lo spettatore in sospensione, date le condizioni al contorno, praticamente un genio, riconosciuto dal Premio Speciale della Giuria. Grande cinema anche dal Giappone, con “Ary Otoko”, di Kei Ishikawa, dalla costruzione ad incastri complessa e fascinosa, che, attraverso la ricostruzione di una complessa vicenda, consente agli autori di riflettere su concetti molto profondi, soprattutto su quello dell’identità, sulla distinzione tra i legami di sangue e quelli (più concretamente) affettivi, sui pregiudizi ed i timori verso gli stranieri e chi è diverso da noi, un film scritto, diretto ed interpretato in modo impeccabile. “En Los Margenes”, di Juan Diego Botto, sulle discriminazioni che devono patire gli ultimi, gli sfortunati, i meno abbienti, che finiscono per diventare i paria della società, un film di grande e lunga preparazione, scrittura superlativa, attori in grande spolvero, su tutti Penelope Cruz. Sbarcato al lido anche il grande cinema messicano di Alejandro González Iñárritu, con “Bardo, Falsa Crónica de Unas Cuantas Verdades” , che non smentisce la sua (meritata) fama di raffinato e visionario costruttore di immagini, di straordinario virtuoso del punto camera, di demiurgo di scene di una piena ridondanza, di una rara complessità con un numero impressionante di attori contemporaneamente presenti davanti all’obiettivo, tre ore di puro, poetico, magico cinema cinema. Noah Baumbach non lascia mai indifferenti, con “White Noise” impone un suo stile grottesco, paradossale, ossessivo, con atmosfere thriller, una forte dose di ironia e corrosivo sarcasmo, con risultati a tratti di pregevole comicità non sense. Tutto ha significato metaforico di profonda riflessione sulle dinamiche della società e del suo nucleo fondante, la famiglia. “Tar”, di Todd Field vale la prestigiosa Coppa Volpi alla ennesima interpretazione monumentale di Cate Blanchett, che porta sulle spalle l’intero film e gli conferisce un notevole spessore e fascino cinematografico, in un film coltissimo, con dialoghi brillanti e taglienti. La Mostra è stata nobilitata anche da una nutrita serie di documentari, di incomparabile qualità: “Freedom on Fire: Ukraine’s Fight For Freedom”, di Evgeny Afineevsky, una agghiacciante ed indispensabile antologia delle atrocità perpetrate dagli invasori russi sugli inermi civili ucraini. Il danese “Music for black pigeons”, di Jorgen Leth, che ci restituisce momenti indimenticabili, catturando la magia della musica che si inventa mentre la si fa. “A Compassionate Spy”, di Steve James, documento prezioso ed imprescindibile, raccontato con professionalità, grande dovizia di documentazione e tante interviste ai reali protagonisti, che sono riusciti a mantenere il segreto per circa mezzo secolo. “Nuclear”, in cui Oliver Stone accusa le aziende petrolifere di aver orchestrato campagne mediatiche per diffondere il terrore del nucleare. “The Kiev Trial”, di  Sergeï Loznitsa, ancora una volta con materiali d’archivio inediti sul primo grande processo alle atrocità degli invasori nazisti in Ucraina, svolto nel 1946. Le assonanze e la lezione con i fatti odierni è del tutto evidente. “In Viaggio”, nel quale Gianfranco Rosi, da grande documentarista, sceglie con occhio esperto dalla immensa quantità di immagini dei viaggi di Papa Francesco, forse il Papa più viaggiatore della storia, e ci regala un gioiello di cinema antologico, che resta memorabile, per la forza con cui il Papa impone all’agenda dei grandi della terra i temi scottanti che vediamo tutti i giorni sotto i nostri occhi, che ne fanno uno dei leader mondiali più autorevoli che abbiamo. Anche da questa 79esima Mostra di Venezia i volontari del Cinecircolo Romano, che, come ogni anno, non perdono un film, portano a Roma tre perle imperdibili: “Il Signore delle Formiche”, di Gianni Amelio, “Siccità”, di Paolo Virzì e “La Syndicaliste”, di Jean-Paul Salomé.