About Elly, recensione di Riccardo Rosati

About Elly

 

Genere: drammatico

Nazione: Iran

Anno produzione: 2010

Durata: 119’

Regia: Asghar Farhadi

Cast: Golshifteh Farahani, Taraneh Alidousti, Mani Haghighi, Shahab Hosseini, Merila Zarei, Peyman Moadi, Rana Azadivar, Ahmad Mehranfar, Saber Abar

Sceneggiatura: Asghar Farhadi

Produzione:  Mediaplex Italia

Distribuzione: Asghar Farhadi

 

L’altro volto dell’Iran

Dopo aver vissuto per molti anni in Germania, Ahmad fa ritorno in Iran. I suoi vecchi compagni di università colgono l’occasione per organizzare una rimpatriata in una villa semi abbandonata sul Mar Caspio. Una delle donne del gruppo, la vitale Sepideh, all’insaputa degli altri, ha invitato Elly: l’insegnante della figlia piccola, sperando che possa far colpo su Ahamad. Tutto sembra filare liscio, quando all’improvviso Elly scompare nel nulla, forse affogata in mare.

L’atmosfera gioiosa evapora istantaneamente, mentre il gruppo di amici cerca di capire cosa sia veramente accaduto alla ragazza. Il panico si diffonde all’interno della compagnia e improvvisamente la figura di Elly diventa ai loro occhi piena di zone d’ombra, tutte le sue qualità svaniscono gradualmente, finché la verità non viene rivelata…

 

Tanto rumore per nulla

About Elly (Leone d’Argento a Berlino 2009) racconta di un Iran piuttosto insolito, mostrandoci una borghesia agiata, dai modi occidentali: non fosse per l’hijab indossato dalle donne, il comportamento dei protagonisti e il modo in cui si sviluppano le relazioni tra di loro potrebbero apparirci abbastanza simili a quelli dei loro coetanei occidentali. In modo velato il film presenta una visione critica della società iraniana. Ben presto, con il dipanarsi della vicenda, le relazioni appaiono infatti immerse nella menzogna, nell’inganno reciproco, nel silenzio che impedisce di conoscersi e nella rigidità di regole che ostacolano l’espressione. Infine, il pregiudizio contro la donna, spina nel fianco dell’Islam moderno, riaffiora con forza al manifestarsi dei primi problemi.

La macchina da presa non smarrisce mai i punti di vista dei personaggi, accentuando preoccupazioni, reazioni impetuose; e lo fa in modo pulito, senza vana concitazione. Lo stile documentaristico della fotografia, così di moda negli ultimi anni, è enfatizzato dalla totale assenza della colonna sonora e l’utilizzo dei rumori acusmatici: quei rumori “reali” nel piano della narrazione. Il blu del mare davanti alla casa, così freddo e triste, rimanda costantemente all’idea della morte. Il cast è ottimo, malgrado il brutto doppiaggio, e spicca in una pellicola fatta formalmente di poco o nulla e dove abbondano i dialoghi.

Pur non priva di alcuni elementi di interesse, questa pellicola sembra non perfettamente riuscita. La sceneggiatura non riesce a trovare un convincente equilibrio tra l’approfondimento psicologico realistico e la rappresentazione metaforica di un mondo in cui la menzogna regna sovrana e che cade in più di una forzatura, concedendosi con troppa leggerezza a varie banalità narrative, per non sorprendere mai il pubblico.

In definitiva, un’occasione mancata per far conoscere meglio le problematiche dell’Iran di oggi, e non può e non deve bastare il fatto che si tratta di un film girato in un paese con i problemi che ormai tutti conosciamo. Se una storia dice nulla, dice nulla. Se si fosse trattato di una pellicola occidentale, sarebbe stata probabilmente fatta a pezzi o quasi dalla critica, perché allora noi dovremmo essere più indulgenti?

   Riccardo Rosati