Foto di famiglia
di Ryōta Nakano,
recensione di Riccardo Rosati
La cinematografia nipponica non è nuova, soprattutto nella commedia, a riproporre quegli stilemi che l’hanno resa amata nel mondo. Questo è il caso di Foto di famiglia (浅田家!, “Asadake!”, 2020) di Ryōta Nakano, un autore poco o nulla conosciuto dal pubblico e dalla critica occidentale. La sua pellicola pare, in alcune parti, riecheggiare autentiche perle della animazione del Sol Levante, come: Maison Ikkoku (めぞん一刻, “Mezon Ikkoku”, 1986 – 1988) serie tratta dal meraviglioso manga omonimo di Rumiko Takahashi, e I miei vicini Yamada (ホーホケキョとなりの山田くん, “Hōhokekyo tonarino Yamadakun”, 1999) diretto da quell’Isao Takahata, noto per essere l’anima, assieme a Hayao Miyazaki, del celeberrimo Studio Ghibli. A somiglianza della prima opera, il film di Nakano offre un intrigante affresco della quotidianità dei giapponesi, perlopiù con scene di interni; mentre in relazione alla seconda, invece, assistiamo alle a dir poco strambe abitudini di un vivace nucleo familiare, ossia, gli Asada, ognuno dei quali serba un sogno nel cassetto che non ha esitato ad accantonare: il padre avrebbe voluto fare il pompiere, il fratello maggiore il pilota di Formula 1 e la madre si è sempre immaginata come la moglie di un gangster della Yakuza! Masashi, il figlio minore, grazie al suo talento per la fotografia, sembra trovare l’escamotage per realizzarli, ritraendo i propri cari nei panni dei più svariati e divertenti personaggi (politici, supereroi, ecc.). Tuttavia, la sua promettente carriera di fotografo professionista subisce una battuta d’arresto quando la regione settentrionale del Tōhoku viene colpita dal drammatico terremoto e dal maremoto dell’11 marzo 2011. Intenzionato a fare qualcosa di utile, Masashi si unisce a un gruppo di volontari che prova a recuperare le foto e gli album di famiglia andati dispersi tra le macerie dopo il crollo delle case, per restituirli ai proprietari.
Foto di famiglia racconta una peculiare storia vera, quella per l’appunto di Masashi Asada, che, grazie al potere della fotografia, in grado di cristallizzare singoli istanti dell’esistenza umana in fondo rendendoli veri per sempre, ha riportato il sorriso sui volti di molte persone. Costui è riuscito a guadagnarsi una certa notorietà in Patria, specializzandosi in curiosi ritratti di nuclei familiari, aventi come scopo proprio quello di carpirne l’essenza per mezzo di un unico scatto.
Nihonteki (日本的), il “tipicamente giapponese”
Nakano confeziona una trama girata nella tipica maniera della succitata commedia giapponese, in cui i momenti surreali o goffi sono cadenzati da una colonna sonora un po’ scontata, benché efficace. Invero, al di là di alcuni spunti interessanti, Foto di famiglia, col suo incedere rilassato e punteggiato di volta in volta dalla “intima” e ingenua comicità nipponica, rimane nell’alveo della convenzionalità; anzi, si potrebbe quasi affermare che è proprio la convenzione il suo vero obiettivo! Sarebbe a dire, che il proporre la famiglia in modo quasi icastico, alla stessa stregua di un microcosmo monolitico, sembra tradire la volontà di incoraggiare una concezione di famiglia ove è dominante il suo essere “istituzione”, e della quale si può solo essere membro, ma mai protagonista. Ecco, riteniamo che questa patina vagamente ipocrita che cela la verità e la complessità del nucleo familiare, segnatamente in un contesto sociale sovente spietato come quello giapponese, costituisca il principale limite di questo film, il quale si presenta di qualità formale essenzialmente gradevole e a tratti pure divertente, specie nella prima metà. Difatti, un’altra debolezza della pellicola la si individua nella durata (127 minuti) eccessiva se rapportata a una vicenda sostanzialmente ripetitiva e che si sarebbe dovuta esaurire in minor tempo. Inoltre, la parte riguardante la permanenza di Masashi nelle zone colpite dal disastro naturale scade nell’esiziale errore di fare quello che sogliamo definire: due film in uno, confondendo lo spettatore per via di una improvvisa cesura visiva e narrativa.
Il peso della istituzione familiare
In sintesi, risulta abbastanza lodevole l’idea di voler rappresentare in uno scatto i sogni delle persone, nonché il ricordarci il valore delle foto cartacee, non “salvabili” e, pertanto, frammenti insostituibili della nostra memoria. Un bel messaggio, altamente condivisibile nella avvilita era attuale, ove si preme in modo compulsivo il pulsante di un telefonino, per ottenere soltanto quello che il filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard acutamente definì un “simulacro”. Malgrado la pellicola di Nakano sia indubbiamente capace di suscitare diversi momenti di piacevole ilarità, il messaggio che essa propone ci ha lasciato qualche dubbio: tutto troppo buono, bello… perfetto. La famiglia si impone come una sorta di spugna che assorbe e cancella i veri volti dei suoi componenti, giacché non importa la identità individuale di ciascuno, si è solo, ad esempio, un Asada, come, del resto, è chiaramente esplicitato nel titolo originale dell’opera.
Voto: 6,5
Riccardo Rosati