Chiamata senza risposta,  recensione di Riccardo Rosati

Chiamata senza risposta

 recensione di Riccardo Rosati

Genere: horror

Nazione: USA
Anno produzione: 2008
Durata: 86’
Regia: Eric Valette
Cast: Shannyn Sossamon, Edward Burns, Azura Skye, Ray Wise, Ana Claudia Talancón, Margaret Cho

Produzione: Alcon Entertainment
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Sceneggiatura: Andrew Klavan

 

Chiama e sentirai la tua morte

Una studentessa riceve un messaggio vocale dal futuro lasciato apparentemente da se stessa sul punto di morte. Il presagio si avvera e a breve una serie di morti si susseguono, tutte collegate l’una all’altra e preannunciate dallo stesso tipo di messaggio, con la stessa inquietante suoneria.

La giovane Beth Raymond decide allora di rivolgersi alla polizia. Nessuno però è disposto a credere a quanto racconta: chi potrebbe mai credere ai fantasmi nel terzo millennio? Qualcuno che le dà retta però c’è: il detective Andrews è convinto che la storia di Beth sia vera, poiché qualcosa di simile è accaduto anche a sua sorella. Insieme cercano di spezzare questa catena di morti orribili, ma per farlo devono scoprire chi ha spedito il primo messaggio. Manco a dirlo, la loro è una corsa contro il tempo.

 

Un altro inutile remake americano

Scialba versione hollywoodiana della pellicola di Takashi Miike The Call – Non rispondere (2003), tratta dal romanzo Chakushin ari, scritto da Yasushi Akimoto. Eric Valette si limita a una regia piatta che moltiplica persino le presunte apparenze mostruose, finendo per renderle ben presto inefficaci.

Il remake è una operazione di per sé discutibile, che andrebbe sempre giustificata, ma oggi più che remake si fanno degli “aggiornamenti” in chiave moderna di vecchie pellicole, dove l’unica novità sono di solito gli effetti speciali e le musiche più dinamiche, consone ad un ritmo più serrato del montaggio proprio del cinema d’azione, tuttavia non riuscendo spesso a eguagliare la qualità intrinseca dell’opera a cui ci si è ispirati.

Non che il film di Miike sia da considerarsi un capolavoro, ma almeno in esso si potevano apprezzare alcuni aspetti caratteristici del folklore soprannaturale giapponese. In definitiva, questa tendenza a riproporre gli horror nipponici con più soldi e attori sulla carta più bravi ha ormai stufato da tempo.

L’unica nota positiva la troviamo nel buon ritmo della narrazione, sebbene si ecceda nell’effetto legato a intrusioni violente della colonna sonora, ma questo è un difetto riscontrabile anche in molto cinema horror nipponico degli ultimi anni.

Riccardo Rosati