Il cinema della dignità contro il capitalismo selvaggio, di Armando Lostaglio

I recenti film di Ken Loach, Antonio Albanese e Michele Riondino

                  Il cinema della dignità contro il capitalismo selvaggio

 

di Armando Lostaglio

Il cinema sociale sa leggere “le vite delle persone ai margini sfioriti dalle società fiorenti”: i recenti film di Ken Loach, Antonio Albanese e Michele Riondino si identificano in una opportuna scelta di classe. L’87enne regista britannico torna con la consueta verve a leggere il disagio sociale della working class, in un ricambio delle parti: all’arrivo di famiglie siriane che fuggono dalle guerre, sono proprio loro, gli ex minatori che hanno subito i licenziamenti dell’epoca tatcheriana, ad opporsi ad una integrazione non prevista. Sarà Ballantyne (intensa l’interpretazione di Dave Turner) a creare il ponte ideale nel suo The Old Oak, il pub che dà il titolo al film, che è davvero la vecchia quercia della visione sociale, cristiana oltre ogni dogma. E’ proprio nella gotica cattedrale della città che Yara la migrante siriana (Ebla Mari, originaria del Golan) riflette sulla necessità della fratellanza quale unica certezza di fede umana e religiosa. La processione laica nel finale del film suggella oltremodo l’intento politico del maestro inglese, autore di opere fondamentali nella storia del cinema di impegno sociale; questi alcuni titoli: Poor Cow, 1967; Riff-Raff, 1991; La canzone di Carla, 1996; Bread and Roses, 2000; Il vento accarezza l’erba, 2006; Io Daniel Blake, 2016, questi ultimi premiati con la Palma d’oro a Cannes. Ad 87 anni il compagno Ken Loach ci pone ancora interrogativi sulla nostra condizione umana di fronte ai mutamenti sociali, di difficile integrazione con altri popoli.

Visto al cinema Lovaglio di venosa, anche Cento domeniche di Antonio Albanese, alla sua quinta prova da regista ed interprete, dimostra ancora una volta la sensibilità di un artista versatile e di spessore, che rinuncia ai vantaggi di un enorme credito popolare maturato grazie alla televisione e a film di commedia, per dedicarsi ad un cinema di critica sociale. Non più l’inventore di eccellenti personaggi tv da Epifano a Frengo o il più recente Cetto Laqualunque, bensì un attore maturo, dal viso confortante che dà spazio alla tenerezza, specie nel rapporto con l’anziana madre la straordinaria Giulia Lazzarini. E dà spazio alla rabbia, di un uomo onesto cui gli viene sottratta la dignità di padre: accompagnare la figlia all’altare ed offrirle quanto più potrebbe. In termini economici, anche e soprattutto. Il capitalismo e le sue nefaste gestioni dell’economia impoveriscono le condizioni umane e le relazioni sociali. E’ il tradimento della fiducia che i cittadini accusano maggiormente verso le banche, le quali hanno sottratto dai loro conti miliardi di euro per scelte finanziarie dolosamente scorrette. La crisi economica che le banche fanno pagare ai propri clienti (salvando invece i grossi capitali industriali) è il filo della narrazione di Albanese (anche autore della sceneggiatura). L’attore e regista ambienta il film dalle sue parti, vicino Lecco, e nella fabbrica dove muoveva i primi passi da operaio.  Vige un elusivo richiamo a quel capolavoro anni ’70 di Sidney Lumet Quel pomeriggio di un giorno da cani con Al Pacino. Antonio è un uomo comune, contemporaneo, che si sforza di restare integro nella propria dignità nonostante le calamità. Nel finale aperto, il film si lascia interpretare, sul bordo dell’abisso.                                                                                          Palazzina Laf è un film fresco nella sua narrazione: opera prima di Michele Riondino che ritorna nella sua Taranto, città simbolo alle prese nel suo ambivalente dramma: la salute o il lavoro. Ed è qui, nelle contraddizioni gestionali della acciaieria fra le più imponenti d’Europa, che Riondino evoca, non senza ilarità, l’impegno civile e la depressione da tempi moderni. Riondino gira un lavoro collettivo, interprete il suo amico Elio Germano, in una città combattuta fra salute e lavoro per via dell’inquinamento procurato dalla acciaieria. Sono lontani, certo, i colori e la rabbia di Elio Petri per quella classe operaia non più in paradiso. Eppure non disdegna di una certa poetica. “La vita di ogni uomo è una via verso sé stesso, il tentativo di una via, l’accenno di un sentiero” sostiene Hermann Hesse. Taranto può essere un laboratorio collettivo di futuro oltre la fabbrica che inquina.