La terra delle donne diretto da Marisa Vallone, recensione di Armando Lostaglio

Felice momento delle registe donne

           La terra delle donne diretto da Marisa Vallone

 

di Armando Lostaglio

Un’onda rosa pervade in questo periodo il cinema italiano, ed è di buon auspicio. L’inatteso successo del film di Paola Cortellesi con C’è ancora domani, l’originale lettura delle conseguenze nefaste della tecnologia della esordiente Janet De Nardis con Good Vibes, e la costante conferma di Alice Rohrwacher con La chimera in concorso a Cannes, offrono un caleidoscopio di bellezza nel panorama non sempre appannaggio delle proposte al femminile.  Scopriamo di recente il film La terra delle donne, premiato al Bifest di Bari, diretto da Marisa Vallone, sua opera prima.        E’ stato proiettato durante le celebrazioni della Giornata contro la violenza sulle donne, presso la Camera dei Deputati, per volere della Presidente della apposita Commissione Martina Semenzato. Il film è ambientato in una Sardegna arcaica mentre siamo nel secondo dopoguerra. La regista ne coglie le essenze, gli umori immobili di una società avvinta fra il sacro e il profano, simbolismi e pietre nuragiche. Ad interpretare queste urgenze della storia è Paola Sini, una bella effige mediterranea, interprete straordinaria che ha anche scritto la sceneggiatura e ha prodotto con la coproduzione della Armeni G.E.S. Productions di Silvia Armeni, di New Time e la collaborazione di Rai Cinema. Paola Sini interpreta Fidela, la quale eredita per tradizione l’arte della stregoneria da sua madre e diventa Coga, la strega del villaggio: il settimo figlio – vuole la tradizione – se femmina sarà strega. Si renderà ben presto conto che la violenza di genera nasce in famiglia e quindi nel contesto sociale. Non le è permesso innamorarsi, in quel microcosmo suggestivo, fra mondo animale e una natura incontaminata che più struggente non si può. Fidela deve occuparsi di curare i malefici e di far nascere i bambini del villaggio, è consultata persino dal prete del villaggio (Alessandro Haber). La sua vita è succube della società patriarcale e superstiziosa, cui è impossibile ribellarsi. Ma incontrerà la piccola Bastiana (è Syama Rayner) pure lei segnata dallo stesso destino: è settima figlia. Sarà questo incontro la svolta, forse la rivoluzione in quella società stantia. Storie parallele di donne ai margini: due sorelle agli antipodi sociali ma fortemente legate, la longevità dei sardi studiata come fenomeno antropologico; e su tutto un bisogno di maternità, persino un bisogno maschile di grembo. La regia di Marisa Vallone sa districarsi in un film apparentemente disarticolato, che commuove con i cori dei tradizionali Tenores e la voce timbrica di Maria Carta; e per la naturalezza delle interpretazioni di quanto la storia si racconti. Rimanda ad un verso dalle Odi di Orazio: Si apre/ a questo vento dolce/ di primavera il chiuso gelo dell’immobile stagione/ e le barche tornano al mare…/ Adesso dobbiamo intrecciare corone/ e ornarcene il capo.