Cinema Airone di Roma, progettato dal maestro dell’Architettura Novecentesca Adalberto Libera, chiuso da oltre 10 anni e quindi una della sale cinemtografiche storiche a rischio di demolizione, ove ilprogetto di legge 171/2024 della Regione Lazio venisse approvato (fonte immagine: ArchiDiAP Sapienza)
SULLA PROMOZIONE DELLA CUTURA E DEL CINEMA NESSUNO BATTE I FRANCESI
RIPORTARE GLI SPETTATORI AL CINEMA PER LA SALVAGUARDIA DELLE SALE
Catello Masullo
“Con la cultura non ci si mangia” era uno slogan che si era diffuso qualche anno fa in Italia, attribuito (probabilmente erroneamente) all’allora Ministro Tremonti. Un “comune sentire” che dovrebbe fare a cazzotti con la logica, in un paese come l’Italia che detiene, mal contato, circa il 70% del patrimonio culturale mondiale. Se c’è un paese al mondo che riesce, invece, splendidamente, ed anche pragmaticamente a smentire questa sesquipedale stupidaggine secondo la quale “con la cultura non ci si mangia”, è certamente la Francia, dove la cultura pesa ben il 4 per centro del Pil. Uno studio di EY (ex Ernst&Young) commissionato qualche anno fa dalla Saicem, la Siae francese, ha evidenziato come il fatturato del settore cultura in Francia (cinema, musica, teatro, architettura, editoria e videogiochi) ammontava all’epoca a 74 miliardi di euro, addirittura superiore a quello delle telecomunicazioni (66,2 miliardi), chimica (68,7 miliardi) e automobili (60,4 miliardi). È il frutto della politica della cosiddetta” exception culturelle”, che in Francia è una priorità irrinunciabile, da difendere sulle barricate, se necessario. Ne è testimonianza il fatto che la Francia ha preteso e ottenuto che la cultura rimanesse fuori dall’accordo di libero scambio commerciale con gli Stati Uniti, e dalle ossessive norme Ue sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato. Alla luce di tutto questo, non stupisce che i francesi continuino a spendere più dell’8% del reddito e dedichino quasi 9 ore al giorno ad attività culturali.
Non fa eccezione il cinema, cui la Francia ha dato gli storici natali, con la mitica prima proiezione pubblica a pagamento, il 28 dicembre 1895 al Salon Indien del Grand Café di Boulevard des Capucines a Parigi, a cura dei mitici fratelli Lumière.
La ricetta d’oltralpe si concretizza nel fatto che la Francia, con grosso modo la stessa popolazione dell’Italia, stacca quasi il triplo dei nostri biglietti ai botteghini dei cinema.
I cardini principali delle leggi francesi sul cinema si possono così riassumere:
1) una legge cinema che supporta davvero chi produce e distribuisce i film e le sale che li proiettano;
2) una politica che promuove concretamente la “eccezione culturale” di cui la Francia è (unica) paladina in Europa, contro la colonizzazione planetaria del cinema americano (in Francia è garantito per legge un minimo garantito alle produzioni nazionali in sala e, di conseguenza, il 44% dei film è francese, da noi va bene quando arriviamo alla metà di questa percentuale con i film di produzione italiana);
3) una “finestra” temporale che funziona: i film escono solo in sala e possono andare in piattaforma oppure in tv solo dai 12 ai 18 mesi dopo l’uscita in sala. È chiaro che gli amanti del cinema non sono disponibili ad aspettare un anno e mezzo per vedere i film preferiti e li vanno a vedere al cinema;
4) reale promozione del cinema verso i potenziali spettatori, con trasmissioni tv di prima serata sui canali nazionali di maggior ascolto, con interviste agli autori, attori, artisti e spezzoni di film adeguatamente scelti per far venire l’acquolina in bocca, e non Marzullo alle due di notte, come facciamo noi;
5) forte, reale ed efficace lotta alla pirateria e protezione concreta del diritto d’autore.
Abbiamo da imparare dai francesi (con i quali abbiamo, tra l’altro, il maggior numero di co-produzioni, sin dal primo storico accordo di collaborazione cinematografica, che risale al 1949). Oltre a queste, potremmo considerare tante altre proposte: istituire il Ministro del cinema (come ha proposto Pupi Avati, uno dei nostri cineasti più grandi e più longevi), rendere l’offerta più allettante, aggiungendo a quella cinematografica altre attività, creando veri e propri hub cultural/commerciali, istituire corsi di cultura cinematografica come materia scolastica corrente in ogni scuola e portare obbligatoriamente gli studenti al cinema di mattina (sono gli spettatori di oggi e, soprattutto, di domani), promuovere, con contributi pubblici e/o defiscalizzazioni, gli “eventi” con la partecipazione di registi, attori, talent (sono gli unici a fare ancora oggi sold out). La cosa più facile sembrerebbe prendere le leggi e le politiche di cultura cinematografica francesi e copiarle. Ma ci sono le resistenze, forti, delle piattaforme e dei potenti monopolisti del nostro cinema (in parte coincidenti): l’ultima legge è paradigmatica: un film italiano, per ottenere contributi pubblici deve essere, per legge, distribuito in sala da uno dei primi 20 distributori. In pratica ci riescono solo i grandi gruppi, che gestiscono le cose in modo monopolistico e “semi/mafioso”, ma in modo totalmente legale. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare.
Non bastasse, la Regione Lazio sta per varare una legge che consentirà di demolire le sale cinematografiche in disuso da almeno 10 anni, con riedificazione, aumento di cubatura e cambio di destinazione d’uso anche totale. Una legge che consentirebbe la distruzione di veri e propri monumenti del 900, precludendo per sempre alle future generazioni di poterne ammirare l’arte e il genio architettonico e strutturale di opere per l’epoca inedite ed ardite. Opere di mostri sacri della architettura novecentesca: Lugi Moretti, Adalberto Libera, Riccardo Morandi, Marcello Piacentini, Giorgio Calzabini, Innocenzo Sabatini, Eugenio Montuori, per citarne alcuni. Per paradosso è come se il Colosseo restasse inattivo per 10 anni e lo si potesse quindi impunemente demolire per farci un centro commerciale. Italia Nostra Roma ha dedicato all’argomento un evento/seminario di alto livello scientifico/conferenza stampa il 20 febbraio 2025, dando vita ad un comitato spontaneo con già oltre 100 adesioni tra associazioni culturali, sindacati, associazioni di categoria, esponenti del mondo del cinema, eredi degli architetti/ingegneri/artisti progettisti, amanti della cultura, aderenti individuali, ecc. Tale Comitato è aperto ad ulteriori adesioni (v. https://www.italianostraroma.org/appello-sos-cinema.html), ed ha come scopo la messa in atto di tutte le possibili azioni volte alla salvaguardia e alla tutela della sale cinematografiche di Roma, ed in particolare:
- chiedere al Ministro della Cultura e agli uffici dirigenziali competenti della sua struttura, la concreta attuazione della Direttiva Ministeriale del 26.08.2014 relativa alla tutela delle sale cinematografiche di interesse culturale o suscettibili del riconoscimento di tale interesse ai sensi della normativa citata nella stessa direttiva, a partire dal propedeutico censimento delle sale finalizzato al riconoscimento del loro importante interesse culturale mediante l’apposizione del vincolo;
- collaborare fattivamente con gli Uffici ministeriali individuati dalla stessa direttiva e/o competenti in materia, tra cui la Soprintendenza Speciale di Roma Archeologia Belle Arti Paesaggio, ai fini della ricognizione, della conoscenza e del monitoraggio dello stato delle sale cinematografiche cittadine per la proposizione di idonei strumenti di tutela mediante il riconoscimento del loro importante interesse culturale;
- chiedere alla Regione Lazio di riconsiderare il progetto di legge 171 del 2024, stralciando dallo stesso la importante “eccezione culturale” rappresentata dalla sale cinematografiche storiche;
- chiedere alla Regione Lazio e a Roma Capitale di indire gli “Stati Generali” delle sale cinematografiche di Roma al fine di promuovere un dibattito e un confronto multidisciplinare per la loro tutela, rigenerazione e valorizzazione sostenibile;
- Chiamare la popolazione ad una presa di coscienza e ad una mobilitazione.
Ma il modo più efficace di tutelare e preservare le sale cinematografiche, quali imprescindibili luoghi identitari di cultura e di socialità, è quello di riportare gli spettatori al cinema, e questo va fatto a livello nazionale. Il consumo di cinema e audiovisivi è sempre imperiosamente in crescita in Italia. Ma sempre meno all’interno di una sala buia. Il luogo principe per assaporare la magia del cinema. Frank Capra, un maestro indiscusso della Settima Arte, usava dire che una commedia non la si può apprezzare compiutamente se la si vede in meno di 120 spettatori. Ed era uno che se ne intendeva. Una delle urgenze da affrontare nello specifico è certamente il riequilibrio della abissale sperequazione di convenienza economica tra sale e piattaforme. Oggi in Italia con circa 10 euro, o poco meno, un unico spettatore vede un solo film in sala per due ore. Con la stessa cifra, o anche meno, può scegliere di vedere su una piattaforma migliaia di film per un mese, per sé, per tutta la famiglia e per tutti i congiunti e conoscenti che riesce ad ospitare a casa. In Francia, invece, esistono da decine d’anni abbonamenti mensili illimitati alle sale (per esempio UGC illimité) che costano intorno ai 20 euro al mese a persona e 35 per la coppia. Introducendo in Italia tale sistema, visto che la sala ha dalla sua ineguagliabili caratteristiche di socialità e di qualità della visione, la si renderebbe di nuovo concorrenziale. Se poi si introducesse anche un tax credit culturale, cioè la possibilità di detrarre dal reddito dello spettatore l’importo degli abbonamenti (o dal reddito dell’esercente, nel caso di spettatori che non hanno obbligo di dichiarazione fiscale), si avrebbe un ulteriore incentivo per riequilibrare a favore delle sale il gap oggettivo esistente nei confronti delle piattaforme a livello di fruizione dei film.
In definitiva, perché quindi non fare propria la lezione francese in materia di promozione del cinema in sala?