IL LEONE BATTE IL COVID19 DUE A ZERO, di Catello Masullo

IL LEONE BATTE IL COVID19 DUE A ZERO

Catello Masullo

Roberto Cicutto, appena nominato Presidente della Biennale di Venezia, si e’trovato ad affrontare la sfida più dura ed inedita nella storia delle 77 edizioni della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, quella della pandemia mondiale. La chiusura generalizzata di tutte le attività ha fatto cancellare il Festival di Cannes. C’è voluto un coraggio da leone (e’ il caso di dirlo nella specie…), nell’affermare, fin da subito che la kermesse veneziana avrebbe avuto luogo “in presenza”, con la formula tradizionale. E ci è voluta tanta determinazione, abnegazione e professionalità per averla realizzata davvero. Primo grande festival di cinema realizzato dopo la chiusura. Che rende l’Italia orgogliosa nel suo primato. Assieme al fatto di essere stato il primo paese a riaprire i set cinematografici, grazie a specifici ed originali protocolli medici, ed anche il primo paese ad aver svolto un torneo internazionale di tennis con il pubblico. Al Lido tutto si è svolto nel più rigoroso rispetto delle norme e senza alcun contagio. Un miracolo di efficienza e di rigore. Dal punto di vista della qualità della selezione artistica, dal momento che Venezia, come gli altri grandi festival, si basa sulle prime mondiali esclusive, che riguardano, per solito film appena ultimati, e dal momento che nei sei mesi precedenti tutte le produzioni sono state bloccate, ci si aspettava una edizione sotto tono. Nulla di tutto questo. La squadra di Alberto Barbera, al nono anno, riesce a realizzare un miracolo nel miracolo. Non solo Venezia si e’fatta, ma la si è fatta alla grande.

La eccellenza dei film presentati conferma ancora una volta Venezia al vertice mondiale assoluto. Sin dal film di apertura, “Lacci”, di Daniele Luchetti, un miracolo di equilibrio: mai banale, sempre credibile e coinvolgente, con atmosfere che sfiorano quelle del thriller dell’anima, che tengono lo spettatore incollato alla poltrona. Per proseguire con “Quo vadis, Aida?”, di Jasmila Zbanic, potentissimo, un vero cazzotto nello stomaco, atroce, agghiacciante, toccante e coinvolgente, senza scivolare mai nel retorico, è sempre vero e palpitante. “The Duke”, di Roger Michell, una commedia inglese, divertente, ironica, sottile, sempre ai massimi livelli di qualità cinematografica. “Gaza mon amour”, di Giovanni Aloi, un film di potente resa, che analizza compiutamente il senso di frustrazione di truppe militari scelte, addestrate a difendere ed a difendersi da attacchi terroristici che non arrivano mai. “Miss Marx”, di Susanna Nicchiarelli, sguardo e stile originale, con alternanza di materiale di repertorio, coraggiosi monologhi direttamente in macchina e interessanti e significativi anacronismi nel finale. “The man who sold his skin”, di Kaouther Ben Hania, mostra una grande maturità espressiva coniugata con una raffinata messa in scena, che si serve delle tecniche di una ricercata videoarte. “Cari Compagni”, di Andrei Konchalovsky, impeccabile, girato alla perfezione, con attori magnifici e veri (molti non professionisti). “Le sorelle Macaluso”, di Emma Dante, di grande suggestione, con pregevoli atmosfere nostalgiche e crepuscolari. “The best is yet to come”, di Jing Wang, uno dei migliori film sul giornalismo degli ultimi anni, coinvolgente, edificante. “Nowhere special”, di Uberto Pasolini, di una tenerezza infinita, struggente, ma anche di grande ed apprezzabile, sublime, sottile ironia. Il Leone d’oro “Nomadland”, di Chloé Zhao, film di rara potenza, che accende i fari sulla condizione agghiacciante del pensionati poveri degli USA. “I Predatori”, fulminante opera prima di Pietro Castellitto, molto divertente (si ride, e tanto), ma non privo di spunti di riflessione, fustiga (talvolta con una buona dose di vetriolo) i costumi e malcostumi italici, nel modo più efficace, quello della commedia all’italiana, che fa ridere (“castigat ridendo mores”) e fa pensare. “Spaccapietre”, di Gianluca e Massimiliano De Serio, di un dolore profondo, sordo, inimmaginabile nel terzo millennio, dilacerante, straziante, poeticamente e cinematograficamente elevato. Davvero straordinari, inoltre, i documentari nella selezione veneziana. “Salvatore, shoemaker of dreams”, di Luca Guadagnino, il cui straripante talento afferra l’attenzione dello spettatore con la prima sequenza (scarpe straordinarie che passano di mano in mano, di artigiani di bravura insuperabile, per le diverse fasi di lavoro), e non la molla più per oltre 2 ore, fino alla fantasmagorica danza finale di scarpe da sogno.“Agalma”, di Doriana Monaco, uno sguardo originale, di rara eleganza. “Nilde Iotti, il tempo delle donne”, di Peter Marcias, un film strepitoso, come il personaggio, con la interpretazione, memorabile, di Paola Cortellesi, con almeno un paio di monologhi da antologia. “Extraliscio – punk da balera”, trascinante ed entusiasmante racconto di Elisabetta Sgarbi. Una menzione particolare, infine, ai quattro film che hanno ricevuto il “Sorriso Diverso Venezia Award”, la cui giuria ho ricevuto l’onore di presiedere per il quinto anno consecutivo : Miglior film straniero ex-aequo a “Listen”, di Ana Rocha de Sousa, fortissimo, urgente ed indispensabile, ed a “Selva Tragica”, di Yulene Olaizola, potente metafora della natura, della jungla, che si vendica sull’uomo per le tante ferite ed aggressioni da esso perpetrate;  miglior film italiano ex-aequo a “Non Odiare”, esordio alla regia di Mauro Mancini, che esalta i temi dell’integrazione e dell’inclusione sociale di persone emarginate, poiché riconosciute diverse, valorizzando le diversità e proteggendo le fragilità, fornendo al contempo grandi momenti di riflessione, speranza, rispetto e capacità di ascolto, ed a “Notturno”, di Gianfranco Rosi, con una poesia delle immagini di un lirismo e di una bellezza inarrivabili, in cui tutto è essenziale, tutto è urgente ed indifferibile.

Anche da questa 77 esima Mostra di Venezia, i volontari del Cinecircolo Romano portano a casa tre perle preziose per il programma 2020/2021 : “Lacci”, di Daniele Luchetti, “The Duke”, di Roger Michell, “Nowhere Special”, di Uberto Pasolini.