Cactus (Recensione di Catello Masullo)

Cactus (Recensione di Catello Masullo)

ITALIA, 2021

Regia, sceneggiatura, produzione: Luca Mariani

Montaggio: Vincent Ruocco

Attore: Cosimo Rega.

Soggetto: Cortometraggio

 (RECENSIONE DI CATELLO MASULLO): Luca Mariani alla sua opera di esordio fa subito centro. Con un film di rara potenza, su temi universali che toccano le corde dell’anima. L’idea nasce dalla amicizia di lunga data di Luca con Cosimo Rega ed il mondo del carcere. Cosimo Rega, detenuto condannato al carcere a vita, è diventato gradualmente una persona totalmente diversa dal ragazzo che era entrato in carcere tanti anni fa. Ha letto molto. Ha studiato, si è laureato, e, soprattutto, è diventato un grande attore professionista. Un percorso che lo ha portato a trionfare a Berlino con l’Orso d’Oro attribuito a “Cesare deve morire”, dei fratelli Taviani, di cui è protagonista. Il film di Luca Mariani porta come esergo finale la frase: “Dedicato a tutti i detenuti che hanno utilizzato la loro pena come opportunità di cambiamento e di sviluppo della loro consapevolezza”. Il tema della prigionia è vecchio come la storia dell’uomo. Ogni vincolo fisico è una prigionia. L’esperienza di un detenuto rispecchia pertanto l’esperienza di ogni essere umano più sensibile. Questo film racconta quello che succede ad una persona che ha vissuto per molti anni in un contesto particolare e che rientra nella società cosiddetta normale. Il carcere, in realtà, è un mondo sconosciuto. Raramente si racconta l’uscita. Che si è portati a pensare sia il momento più bello. Chi vive in carcere per oltre 30 anni è abituato a quel posto. L’esterno non gli appartiene più. Attraverso lo sguardo del protagonista questo film descrive il profondo sgomento e disagio che può provare un essere umano in tali condizioni. Isolato da tutto e dai pregiudizi, che fanno male a chi li subisce ed a chi giudica. Un pregiudizio che è madre della discriminazione, pari a quella che prova chi è diverso per razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale. Il pregiudizio è come un virus contagioso. La nostra Costituzione nasce da un paese diviso e in macerie. Ha un mirabile equilibrio tra varie visioni. Sull’aspetto della pena la Costituzione è stata capace di sottolineare la necessità del recupero delle persone soggette alla pena. Il faro della speranza è quello di riaccogliere un giorno questa persona nel seno della società.  A volte la libertà è formale ma non un pieno recupero. Studi scientifici inoppugnabili dimostrano che i detenuti impegnati in attività lavorative o culturali hanno un tasso di recidiva molto più basso. Con differenze che vanno da una recidiva del 75/80% per detenuti che cadono di nuovo nel reato una volta usciti ad una recidiva che crolla al 15/20% in caso di serie attività di recupero, lavorative, culturali e di impegno sociale. Un vantaggio che la popolazione non dovrebbe mancare di utilizzare, se non altro per egoismo. Chi va in carcere ignora la cultura in genere ed in particolare la letteratura, di conseguenza non ha avuto la fortuna di costruire il proprio edificio sociale. Il tasso di analfabetismo nelle carceri è altissimo. Il teatro per i detenuti è il luogo migliore per apparire e continuare a coltivare il proprio egocentrismo. A volte anche l’arte è pericolosa, dato che piace essere applauditi. Ma, fortunatamente, poi l’arte comincia a far riflettere, a scavare un solco interno all’anima del detenuto.  Non bisogna dimenticare che il carcere è un luogo dove l’amore è proibito per legge. Lontano dai sentimenti, in cattività, quali uomini si possono costruire? La cultura può rendere l’uomo migliore. Il tema della libertà è centrale in questo primo film di Luca Mariani. Il protagonista compie un rituale che è quello di seppellire il cactus. È un gesto che ha meditato a lungo. Pensa così di poter seppellire il passato per ottenere la catarsi. Ma qualcosa non ha funzionato. La sua consapevolezza si è allargata a tal punto che ha compreso che il carcere non sono solo mura, ma è soprattutto un luogo dell’anima. Si sente di non avere nulla. Qualcosa manca. Non ha una sensazione di benessere. L’essere umano, ci dice con potenza il corto, vive di percezioni: una cosa è la realtà oggettiva, un’altra è quella percepita, che è totalmente soggettiva, ricostruita dentro la persona stessa. La libertà è strettamente legata alla nostra percezione. Cosimo Rega, il protagonista, diventa potente metafora dell’esser umano. Il corto si chiude con una domanda: “cosa è la libertà”? Un messaggio universale che non riguarda solo i detenuti, ma tutti gli esseri umani. Il protagonista dice, infatti, nel finale del film: “Sono libero, eppure mi manca l’aria. Soffoco di rimorsi”. Sembra di sentire lo stesso Cosimo Rega, quando in “Cesare deve morire” diceva: “ho conosciuto l’arte, sta cella è diventata una prigione” (la frase è proprio di Rega, non era nel copione, ndr.). A significare che quando si scopre la bellezza dell’arte, solo allora la cella diventa una prigione. In questo film soffoca di rimorsi, perché quando si dà ad un detenuto la possibilità di fare un percorso, ogni volta che lo spirito si eleva, più il rimorso cambia forma. Una persona vive il suo ricordo del reato commesso e questa è una condanna dalla quale nessun tribunale lo può liberare. In definitiva un film potente, che è riuscito a trattare una tematica alta nella maniera più delicata possibile, cercando di non essere invadente, anche con un montaggio in punta di piedi, una regia colta ed attenta ed una recitazione di rara sensibilità.  Una lezione di umanità che ci porteremo per molto tempo nel cuore.

Valutazione sintetica: 8