CONFERENZA STAMPA PRINCESA SETT 21 A cura di Anna Piccini

CONFERENZA STAMPA PRINCESA  SETT 21

A cura di Anna Piccini

 

Stefania Muresu, Regista: il film è raccontare in italiano. Abbiamo lavorato in tre anni. Su una nigeriana arrivata in Sardegna con i canali della tratta. Non è una biografia lineare e narrativa. È un invito a leggere attraverso le immagini ed i suoni.

 

Moder : con questa donna hai costruito un rapporto intimo. La religione ha due ruoli, salvifico e di oppressione.

 

Stefania Muresu, Regista: ho conosciuto questa donna in una organizzazione religiosa, lei è arrivata minorenne. L’ho conosciuta come donna protetta. Non è stato facile girare. La potevo vedere molto poco. In questi anni è stata difficile girare la tratta nigeriana. Avevo necessità di creare questo mondo visivo interiore di Princesa. l’uso degli archivi è servito a creare una mappa antropologica. Il rito delle nigeriane in cui giurano fedeltà alle madame ed ai trafficanti. Contraggono un debito che devono restituire con la prostituzione. Nel 2018 il capo spirituale, un re, ha vietato ai religiosi di fare questi giuramenti. Le donne si si sono sentite liberate. La tratta è stata sconvolta, la schiavitù interiore rimane aperta. Il film è fatto sulla questione se esiste la credenza. La religione sincretica, pagana, della chiesa evangelica è una forma di controllo. Le chiese sono un bacino di reclutamento delle prostitute. Ma sono anche un punto di riferimento della loro cultura. Doppia valenza.

 

Produttore e montatore: a settembre del 2020 abbiamo partecipato ad un bando della regione Sardegna, e siamo qua. Ci siamo conosciuti nel 2019 su un film mio che presentavo in Sardegna che tratta di cose collegate. Dialogo forte tra i nostri obiettivi. Cosa inusuale. Ho fatto il produttore creativo ed il montatore. Sono anche regista. Princesa credo sia un tentativo di aggiornamento della antropologia rituale radicale. Andare oltre a qualcosa che si fa da tanti anni. L’avanzamento non solo nei formati e lo stile. Ma sul sincretismo profondo, sardo, parliamo di Palmi in Calabria, Tindari in Sicilia, Castel Volturno in Campania, ed anche Bologna e Francia. Semicirconferenza mediterranea occidentale. Fin dall’inizio ho subito visto una cosa importante ed ho chiesto di aiutarla. Una cosa fatta assieme. Credo sia un film che ha bisogno di tempo. Abbiamo pensato che 49 minuti di durata, che deriva anche dal bando, che fosse il respiro del film. È un altro esperimento. I documentari non devono essere tutti di 70 minuti.

 

Catello Masullo: questa storia che accosta i riti ancestrali nostri con quelli attuali africani che rendono schiave queste donne, vi è balenato che potrebbe essere letta come metafora di quanto sta accadendo anche in occidente? E cioè in Italia, dove nelle scorse settimane è stata presentata al parlamento italiano una proposta di legge per equiparare la agricoltura biodinamica a quella biologica, che cioè vorrebbe introdurre l’esoterismo come legge dello stato, ed un momento in cui le evidenze scientifiche vengono negate a furor di social, non c’è un ritorno di paganesimo e superstizione?

 

Stefania Muresu, Regista: non credo ci sia un ritorno. Ma si tratta di cultura ancestrale che c’è sempre stata. C’è un ritorno del malocchio sardo che è apotropaico. Non è un ritorno ed è rispondente ancora di più oggi. Ha a che fare con la vita di tutti i giorni. I migranti ci portano un’africa lontana, ma non troppa. È quotidianità. La scena del malocchio è girata da me.

 

Prof Alessandro Meluzzi: la religione è elemento determinante per tutte le popolazioni. Per gli africani che vengono qui è l’appartenenza culturale e religiosa. Come raccontare la storia di una donna che arriva minorenne. Che è la storia di migliaia di prostitute nigeriane. Dallo stato di Edu, che fornisce il 90% delle prostitute nigeriane, all’Italia che è uno dei maggiori consumatori di questo traffico. Come raccontare tutto questo? Raccogliamo memorie di migranti. L’unica forma è entrare nel vivo di una esperienza religiosa africana da noi. Ci sono chiese anche a Roma dove si sentono canti. Spesso ci sono comunità di accoglienza. Le donne si rifugiano lì. Trovano chi le sfrutta e le consola. Questo è sconcertante. È molto associativo. Ricollega il paganesimo mediterraneo. La violenza di questo debito che non è solo di soldi, ma è anche debito morale. Lo scopo di queste ragazze è per permettere alle loro famiglie di andare a scuola. Trovare un lavoro. Traghettare una parte della famiglia verso una forma di benessere. Questo stato vivono al delta del Niger, che è uno dei più ricchi di risorse, ma uno dei più poveri e che produce la maggioranza di questo traffico.

 

D: non stiamo sbagliando nel momento in cui ci domandiamo come possiamo narrare queste popolazioni? Una scrittrice somala dice che la narrazione viene fatta sempre da noi occidentali e non diamo loro la possibilità di autodefinirsi. Dovremmo affidare la narrazione anche a loro.

 

Prof. Meluzzi: questo è un video traslato. Dobbiamo ascoltare la voce loro. La loro auto narrazione. Come si può raccontare una prostituta bloccata da un giuramento? Accettare queste proposte di lettura. Alcuni grandi fenomeni sono dominati tra cose che stanno tra religione e paganesimo e superstizione.

 

Produttore montatore: una cosa molto problematica è affidare a loro la narrazione, è coloniale. auto narrarsi, auto determinarsi. Questo invece è il lavoro di Stefania. Affidando loro la narrazione è forzato, è coloniale.

 

Stefania Muresu, Regista: lavoro da 10 anni sulla rappresentazione dello straniero. Questo film è frutto di una reciprocità visuale. Ho scelto di non filmarla sulla strada. Lei si muoveva nello spazio di ripresa in maniera autonoma e volontaria. Come strumento di riscatto, di fiducia e di bellezza. La camera è stato un modo di auto rappresentarsi.

 

D: Princesa si ritrova in una festa tradizionale sarda con copricapo simile alle presenti. Guarda verso la camera cecando la tua approvazione sorridendo. E tu le dai qualcosa. Che significato gli dai?

 

Stefania Muresu, Regista: è il carnevale. È una scena importante per me, per il film. È un momento di rituale collettivo, in un paesino sardo di 300 abitanti, lei è l’unica africana. Vestita da pinguino. Anche per lei era importante. Momento di riconoscimento della sua presenza in un luogo nel nuovo contesto.

 

Moder : la parola “clienti” che viene usata anche nel film.

 

Stefania Muresu, Regista: la suora usa questo termine. La suora lavora nella unità di strada che si occupa della accoglienza. Lavora cercando prostitute, portando loro aiuto. È cattolica. Lei giustifica il mercato ed il rapporto.