Kill Me If You Can (Recensione di Catello Masullo)

Kill Me If You Can (Recensione di Catello Masullo)

Un film di Alex Infascelli

SINOSSI: Il 31 ottobre del 1969 le trasmissioni televisive di tutta l’America vengono interrotte da un annuncio: un uomo armato fino ai denti, ha preso il controllo di un jet della TWA in partenza da Los Angeles e diretto a San Francisco, destinazione finale: Roma. Inizia così il più lungo dirottamento nella storia dell’aviazione. Mentre l’America è incollata davanti alla televisione a seguire con il fiato sospeso l’odissea del volo TWA 85, gli agenti dell’FBI scoprono l’identità del ragazzo. Si chiama Raffaele Minichiello, anni 19, emigrato negli Usa dall’Irpinia dopo il terremoto del 1962, Marine pluridecorato per il valore dimostrato in battaglia. Nel frattempo, anche l’Italia ha iniziato a seguire la gimcana tra i cieli del proprio connazionale. All’arrivo a Roma, Minichiello cerca la fuga con una macchina della polizia ma viene catturato e arrestato… Kill Me If You Can racconta l’incredibile vicenda di Raffaele Minichiello, una vita punteggiata da terremoti, attentati, guerre, tragedie personali e guai di ogni sorta, ma sempre all’insegna di una irriducibile voglia di vivere, o meglio, di sopravvivere, nonostante un destino che sembra proprio accanirsi contro di lui.

Il documentario include interventi e testimonianze di Raffaele Minichiello, Dick Scoppettone, Charlene Delmonico Nielsen, Roswitha vom Bruck, Cristiano Minichiello, Livio Ristucci, Angelo Caputo, Tony Spolzino, Daniele Minichiello, Jerry Napolillo, Otis Turner, Wayne Zatkalik, John H. Suddarth Jr., Pier Luigi Vercesi.

L’incredibile storia di Raffaele Minichiello ha inspirato il personaggio di Rambo, interpretato da Sylvester Stallone nell’omonimo cult degli anni 80’ diretto da Ted Kotcheff.

 

  • “Kill Me If You Can” è il terzo documentario di Alex Infascelli dopo S Is for Stanley – Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick (2015) e
    Mi chiamo Francesco Totti (2020).
  • “Kill Me If You Can” è montato e diretto da Alex Infascelli e scritto dallo stesso Infascelli con Vincenzo Scuccimarra. Infascelli e Scuccimarra sono alla loro terza collaborazione dopo i documentari “Mi chiamo Francesco Totti” e “S Is for Stanley”.
  • La fotografia del film è stata curata da Enrico Parenti ( Soyalism, Container 158, Standing army – Esercito permanente)
  • “Kill Me If You Can” è prodotto da Fremantle e The Apartment con Rai Cinema Prodotto da Lorenzo Mieli e Gabriele Immirzi.
  • NOTE DI REGIA

Nei miei due precedenti documentari, ho affrontato la (complessa) semplicità di due uomini come Emilio D’Alessandro e Francesco Totti. Nel raccontare Raffaele Minichiello – Mini per gli amici – ho dovuto ricalibrare il mio modulo narrativo, perché qui mi trovavo di fronte a un enigma. Raffaele, nella sua cifra formalmente semplice, non solo è indecifrabile ma è anche portatore inconsapevole di verità che nemmeno lui sembra possedere. Per la prima volta mi sono ritrovato senza un finale scritto, un approdo designato, o forse in questo caso è meglio dire: una pista d’atterraggio sicura. E invece ho scelto di documentare il nostro incontro, costruendo intorno ad esso un tableau di risonanza, non per condire – credo che già solo l’intervista sarebbe bastata – ma per comprendere, per riprendere fiato. Il sorprendente materiale d’archivio che ho trovato in anni di ricerche, sottolinea come anche prima di me, altri avessero già trovato interessante la sua storia, e importante l’osservare Raffaele nel suo mondo, tale è la sua estraneità da esso. Infatti, che sia incastonato in un fotogramma in B/N girato in 16mm negli anni ’60, o un video Rai degli anni ’80, Raffaele sembra sempre staccato dal contesto e immerso in un suo mondo, un suo tempo, una sua dimensione. In questo continuo “zoommare”, dentro e fuori dal personaggio, quello che è venuto fuori è il più onesto dei miei lavori, non solo in termini di approccio o empatia con il protagonista, ma dal punto di vista narrativo. Alcune scoperte o colpi di scena, mi sono apparsi mentre ero già al montaggio. E così, ho lasciato che cadessero dove mi trovavo cronologicamente. [Alex Infascelli]

 

ALEX INFASCELLI – NOTE BIOGRAFICHE

Dopo un inizio nel 1990 come aiuto regista a Los Angeles per la Propaganda Films (Twin Peaks, Seven), torna in Italia e diventa uno dei più apprezzati registi di video musicali d’avanguardia del decennio. Nel 2001 dirige il suo primo lungometraggio “Almost Blue”. Il film, in concorso alla Semaine de la Critique a Cannes, è anche candidato per la Camera d’Or (Cannes) e il Golden Globe. Vince il David di Donatello, Nastro d’Argento, Ciak d’Oro ed è finalista al Hollywood Film Festival. Da allora ha diretto oltre 50 video musicali, 4 lungometraggi (Almost Blue, Il Siero Della Vanità, H2Odio, Piccoli crimini coniugali) e due miniserie per Sky (Nel Nome Del Male, Donne Assassine) per il quale ha ottenuto il premio come miglior regista italiano al Roma Fiction Fest. E’ anche fotografo e giornalista per Rolling Stone e Vanity Fair. Nel 2015 ha curato la regia della serie “Delitti” per Sky. Nello stesso anno ha presentato alla Festa Del Cinema di Roma il documentario S Is for Stanley – Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick, che narra le vicende di Emilio D’Alessandro, autista e collaboratore di Stanley Kubrick per 30 anni. Il documentario vince il David di Donatello come miglior documentario del 2016 ed entra nella cinquina degli EFA Awards, gli Oscar europei. Nel 2021 vince nuovamente il David per il documentario Mi chiamo Francesco Totti.

Filmografia: De Generazione (1994) – episodio Vuoto a rendere / Esercizi di stile (1996) – episodio Se son rose pungeranno / Almost Blue (2000) / L’ultimo giorno (2003) – mediometraggio / Il siero della vanità (2004) / H2Odio (2006) / S Is for Stanley – Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick (2015) – documentario / Piccoli crimini coniugali (2017) / Mi chiamo Francesco Totti (2020) – documentario.

IL LIBRO DI PIER LUIGI VERCESI

Pier Luigi Vercesi, giornalista del «Corriere della Sera», dirige il settimanale «Sette». È autore di diversi saggi, tra i quali Storia del giornalismo americano (con Sofia Basso, Mondadori 2005) e Ne ammazza più la penna. Storie d’Italia vissute nelle redazioni dei giornali (Sellerio 2014), e di documentari televisivi sulla Roma di Nerone, sulla Germania del Novecento e sulla Prima guerra mondiale.

 

La sinossi ufficiale del romanzo: Il 31 ottobre 1969 le telescriventi di tutto il mondo battono una notizia che ha dell’incredibile. Ralph Minichiello, marine italo-americano di vent’anni, decorato in Vietnam per le sue azioni «eroiche», sta dirottando un aereo decollato da Los Angeles. All’aeroporto di New York, dove il Boeing 707 atterra per rifornirsi di carburante, Minichiello riesce a beffare l’imponente dispiegamento di forze dell’Fbi coordinato da John E. Hoover in persona. L’aereo sembra diretto al Cairo ma all’alba del 1° novembre si ferma a Roma, dove il marine, su un’auto della polizia guidata da un vicequestore, comincia una disperata fuga verso Napoli e il paese in cui è nato, Melito Irpino. Dopo rocambolesche avventure nella campagna romana, viene arrestato e condotto nel carcere di Regina Coeli. Gli inquirenti faticano a credere al suo racconto: un anno, il 1968, vissuto nelle giungle del Vietnam; il torto subìto al suo ritorno negli Stati Uniti; la decisione di sfidare, da solo, il Paese per cui era disposto a sacrificare la vita. Tutto per 200 maledetti dollari. Qualche giorno dopo cominciano a giungere, da ogni parte del mondo, messaggi di solidarietà per il ragazzo capace di sfidare «l’impero» impegnato nella «sporca guerra» diventata l’emblema di tutte le proteste che riempiono le piazze dell’Occidente. Se estradato, Minichiello, che a quattordici anni era emigrato in America con i genitori per fuggire dalla miseria dell’Irpinia colpita dal terremoto, rischia la pena di morte. Ma ormai è un simbolo: la sua vicenda si intreccia, involontariamente, con una storia che parte dalle proteste nelle università americane, passa per il Maggio francese, per Woodstock, la strage di Piazza Fontana a Milano, la ritirata americana dal Vietnam e gli Anni di piombo in Italia. Non è più la bravata di un ragazzo diventato uomo sparando raffiche di mitra in Vietnam ma la parabola di un’intera generazione che mette sotto accusa i propri genitori. Di Minichiello hanno detto che ispirò Rambo, in verità la sua storia è più simile a quella di Forrest Gump. E non è destinata a concludersi in un carcere italiano. Dopo una battaglia giudiziaria romanzesca, con avvocati di Hollywood pronti a scendere nell’agone e la politica italiana che la cavalca, il suo destino lo riporta altre volte sull’orlo del baratro della disperazione e della sfida: da solo contro tutto il mondo.

Il libro ““Il Marine. Storia di Raffaele Minichiello” è disponibile su Amazon.

LA COLONNA SONORA

  • Le musiche originali del film sono della band La Batteria, complesso musicale romano che ha esordito con l’omonimo album nel gennaio 2015, una raccolta di brani originali ispirati al mondo delle colonne sonore e delle sonorizzazioni italiane degli anni ’60 e ’70. I quattro componenti de La Batteria sono veterani della scena musicale romana più trasversale, con esperienze che vanno dal post-rock progressivo (Fonderia), al pop (Otto Ohm e Angela Baraldi), al jazz sperimentale (I.H.C.), al hip hop (La Comitiva, Colle der Fomento), fino alla world music (Orchestra di Piazza Vittorio). A Marzo 2016 La Batteria ha pubblicato in download gratuito Fegatelli, una raccolta di inediti e remix, mentre a Maggio è uscito Tossico Amore (Penny Records/Goodfellas), una reinterpretazione da parte della band della colonna sonora del film Amore Tossico, composta da Detto Mariano. A Novembre 2016 il gruppo è stato invitato dal pianista Stefano Bollani a suonare con lui nella sua trasmissione “L’importante è avere un piano” su RaiUno. Nel 2018 hanno firmato la colonna sonora del film prodotto da Sky Tafanos e nell’aprile del 2019 hanno pubblicato il loro secondo album La Batteria II (Penny Records/Goodfellas).

 

Recensione di Catello Masullo: Alex Infascelli al terzo documentario conferma un talento vero e consolidato in questo genere. Ha fatto ricerche documentarie notevoli. Ripescando molte immagini di repertorio che accompagnano il racconto in modo impeccabile: dimostra una notevole padronanza del mezzo espressivo, anche e soprattutto come mezzo di indagine, alla ricerca della verità, o comunque per avvinarsi il più possibile alla stessa. La scoperta finale, forse il maggiore scoop di questo film, è piuttosto inquietante. E fa intravedere una realtà dietro quella ufficiale, che è di quelle inconfessabili. Magistrale la chiusa con una mancata risposta ed una smorfia facciale eloquente da parte del protagonista. Da non perdere.

Curiosità, ho chiesto al regista: “Catello: Alex usi molto materiale di repertorio d’epoca. Anche per il racconto che si riferisce agli Usa, hai chiesto materiale e TWA? Lo sforzo produttivo mi sembra notevole, poi magari i produttori ci diranno. Usi il cinema come potente mezzo di indagine, per avvicinarti alla realtà. Lo scoop di questo film è il sospetto inquietante di una verità inconfessabile che emerge in modo inquietante con l’ultima mancata risposta del protagonista, con una sola smorfia del viso che appare eloquente?”. La risposta di Alex Infascelli: “lo scoop di questo film è che non c’è scoop. Non sempre c’è il fiocchetto la vita non è così. È interrotta. È un punto di interrogativo costante di ricerca della verità che dura tutta la vita. Avendo abbracciato un arco temporale così ampio partivo dalla nascita di Raffaelle arrivo ai giorni nostri, dentro questo percorso mi sono scontrato al montaggio, che è il mio tavolo di lavoro dove scrivo quello che serve ai prodotti. Decoupage continuo. Molte cose arrivano in corso. E mettendo le cose una accanto all’altra le cose cambiano. Mi ero accorto che non avevo un finale. Ero drogato che dovevo dare un climax eiaculatorio finale come con Totti che tira il pallone nella curva, qui non ce l’avevo. Mi stavo osservando. Come se una telecamera mi riprendesse al montaggio. La ricerca includeva me stesso. La chiudo con quello che so. Le zone grigie della storia di Raffaelle che non mi interessavano. Cosa era emerso? Nulla. Che ne faremo della storia raccontata? Un film ci cambia. Ci fa ragionare. Entriamo nella sala in un modo e ne usciamo in altro modo”. È poi intervenuto il Produttore, Lorenzo Mieli: “la cosa di cui eravamo consapevoli all’inizio era che la premessa e la promessa di Alex era teoricamente infinita. Produttivamente rischioso. Se fosse stata limitata al dirottamento era diverso. Una vita complicata, dolorosa, avventurosa, piena di amore. Non avere un finale, perché la vita non ha un finale, ma voler raccontare questa esperienza, nulla di paragonabile ad un uomo comune. Era infinita. il film si deve comunque chiudere. Dall’inizio abbiamo dato ad Alex tempi e mezzi. Abbiamo dato un tempo alla ricerca. Di tanti possibili sensi. Questo documentario è speciale perché viola le leggi del documentario, perché ha tanti possibili sensi. Tutto ciò è stato possibile perché ci sono materiali clamorosi. Il processo, quando esce di prigione, quando va a Melito Irpino, quando lavora nel ristorante. Sono incredibilmente umani e cinematografici. È stata anche una fortuna”. Infine ha completato di nuovo il regista: “un’altra mia dimensione è quella musicale, in questo film la musica è importantissima. Un tempo i più bei dischi finivano in dissolvenza. Oggi le musiche finiscono tronche. È quello che ho voluto fare io. Una dissolvenza. Un parto in acqua. Dalla visione torniamo nella vita. Team di ricerca eccezionale. Si sono innamorarti della storia. Trovavano sempre di più. Come Walter Chiari. Cose sconvolgenti. E il materiale Rai che ha stili diversissimi. È stata una benedizione per tutti. Ho lasciato parlare molto le immagini. Momenti di musica ed immagini. Mandando in play il repertorio, guardando quello che succede”.

 

 

Valutazione sintetica: 8