DIABOLIK, un film dei Manetti Bros, recensione di Stefano Valente

DIABOLIK, un film dei Manetti Bros

 

di Stefano Valente

 

 

 

DIABOLIK è un film del 2021 dei Manetti Bros. La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo fumetto creato da Angela e Luciana Giussani e pone l’attenzione sul primo incontro tra il celebre ladro e la sua compagna e complice Eva Kant avvenuto nel terzo albo della serie originale intitolato: “L’arresto di Diabolik”. Ciò che rende interessante l’operazione tentata dai Manetti è l’aver filmato quella che potremmo chiamare una parodia del perturbante. Mi spiego. Tra i vari sentimenti ed affetti che mettono in tensione la sensibilità dello spettatore il predominante non è la paura, il brivido, il terrore, l’ammirazione per la genialità nel male del protagonista, lo sdegno per il suo cinismo, il fascino morboso e perverso per la sua crudeltà e spietatezza, ma è propriamente quello che con Freud potremmo chiamare il perturbante. Se nel registro del bello lo spettatore fa come l’esperienza del sentirsi a casa propria; e se nel registro del sublime lo spettatore fa come l’esperienza di essere “scasato” di fronte allo spettacolo di una natura che lo sovrasta; nel perturbante si fa l’esperienza straniante di sentirsi stranieri in casa propria. Nel perturbante proprio ciò che ci è più familiare rivela una sfumatura inquietante. E la figura così sfuggente di Diabolik sembra incarnare alla perfezione questo strano affetto dell’animo: basti pensare ai suoi travestimenti; infatti il tema del doppio, del sosia è quant’altri mai perturbante. Diabolik potrebbe essere chiunque perciò il nostro incontro con un altro si carica di una interna tensione: alla fine l’altro in quanto tale diventa una figura sinistra e minacciosa. Eppure tutto in questo film è sopra le righe dalla recitazione alla messa in scena, dalla scenografia alla sceneggiatura, dalla fotografia alla regia tanto che pare di stare dentro un grande fumetto – effetto quest’ultimo certamente voluto e ricercato dai Manetti. Proprio per questo all’inizio parlavo non di un film perturbante bensì di un film che è la parodia del perturbante. Questa ci pare una cosa degna di nota, infatti fare la parodia del perturbante significa stemperare nell’umoristico (e non nel comico) quella tensione inquietante che dovrebbe percorrere tutto il film. Questo mix di perturbante (proprio del fumetto) e parodia (propria del film) è il maggior pregio del film, ma il suo maggior difetto è quello di aver dosato male questi ingredienti per cui il film alla fine non convince. Soprattutto la recitazione degli attori è manierata e sopra le righe e se la prova d’attore di Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastrandrea appare poco convincente, certamente è pessima quella di Serena Rossi e Alessandro Roja. Lo stesso sforzo registico finalizzato a ricreare lo stile del fumetto – che a volte sembra essere stato preso in considerazione senza mediazioni come storyboard – ci sembra fallito perché ridotto ad un esercizio alla fin fine di maniera. E così la parodia del fumetto si è ridotta a sua caricatura. E così l’inquietudine è stata addomesticata. Il finale idilliaco del film sembra posticcio ed arbitrario: e, se durante tutto il film si è tentato senza convincere di articolare insieme inquietudine ed ironia, nel finale non c’è più né inquietudine né ironia. Insomma siamo molto lontani dal riuscitissimo “Lo chiamavano Jeeg Robot”.

 

 

STEFANO VALENTE