IL CALDO A ROMA, IERI ED OGGI, LO SPREAD E LA RIDUZIONE DEL NUMERO DI PARLAMENTARI Catello Masullo

IL CALDO A ROMA, IERI ED OGGI, LO SPREAD E LA RIDUZIONE DEL NUMERO DI PARLAMENTARI

Catello Masullo

 

Ogni anno, verso luglio/agosto, puntualmente giornali e televisioni parlano del caldo. Puntualmente si parla di eccezionali ondate di calore. Senza precedenti. Ovviamente vengono evocate le parole di magica moda : “cambiamenti climatici”. Ai quali attribuire tutto quello che di negativo si verifica. Perfino l’innalzamento dello spread. Che ha rapinato dalle tasche degli italiani nell’ultimo anno abbondante circa 8 miliardi di euro, mentre i nostri governanti sbandierano favolosi risparmi di spesa con la proposta , per me insulsa, di riduzione dei parlamentari. (per chi si avventurasse a leggere questo articoletto fino in fondo, in appendice, proverò ad argomentare la mia definizione di “insulsa” ed a giustificare l’accostamento del caldo, allo spread ed alla riduzione del numero di parlamentari). Torniamo al caldo.

Mi sono trasferito a Roma nel 1963, all’età di 10 anni. L’ho fatto d’estate. Ed ho subito avuto la sensazione di un caldo soffocante. Avevo trascorso tutta la mia vita precedente a Castellammare di Stabia, un paesone del golfo di Napoli, dove il calore era (ed è) molto più sopportabile. Grazie alle brezze marine, e, soprattutto, al grande potere moderatore del mare, che con la sua massa termica garantisce estati più fresche ed inverni meno rigidi che in città. Dove si forma la cosiddetta “isola di calore”. Un calore prodotto dalle attività umane e che ne alza la temperatura, specie nelle estati degli ultimi decenni, con il proliferare dei condizionatori d’aria, che scaricano in atmosfera tutto il calore sottratto agli ambienti serviti. Assistendo all’immancabile tormentone mediatico sui giorni più caldi della storia della umanità e ricordando le estati romane soffocanti della mia infanzia, mi sono chiesto se i giornalisti avessero ragione, o, invece, come spesso avviene, esagerino e travisino la realtà. Ed allora sono andato a cercare i dati storici sulle temperature massime a Roma. Niente di più facile. Grazie all’amico Google. Che mi porta in genere su Wikipedia. Che ha il pregio di dare una immediata visione dei dati, con tabelle ben organizzate. Scopro così subito che la massima temperatura registrata a Roma (valori ufficiali) dal 1951 ad oggi è di 40.5 gradi centigradi. Raggiunti nell’agosto 2007. Ma anche che il record precedente, di 40.4 gradi (cioè praticamente la stessa temperatura) è dell’agosto del 1956. Quando i cambiamenti climatici erano ancora in Mente Dei. Ma, attenzione, i 40.4 gradi sono stati raggiunti anche nell’agosto del 1978, ed i 40 gradi sono stati superati nel 1970 e nel 1983. Essendo peraltro raggiunti i 39 gradi praticamente tutti gli anni. E quindi dove sono le temperatura più alte della storia dell’umanità riferite all’oggi? Sto leggendo, in questi giorni, un dottissimo saggio di un eminente scienziato, Ruggiero Jappelli, dal titolo “Sostenibilità”. Nel quale sono poste ad esergo illuminanti riflessioni di Giacomo Leopardi (Pensieri, XXXIX). Il quale riferisce che : “Baldassarre Castiglione nel Cortegiano assegna molto convenientemente la cagione perché sogliano i vecchi lodare il tempo in cui furono giovani, e biasimare il presente.”. In sostanza, gli anziani si lamentavano di sentire più freddo che in passato. E da questo ne deducevano che la terra si stesse irrimediabilmente raffreddando. Questo nel 1600. Se il trend fosse stato quello, adesso saremmo più freddi della Groenlandia. In definitiva, a mio parere occorre rifuggire dalle sensazioni, dalle percezioni. Ed affidarsi ai numeri inconfutabili della scienza. I numeri hanno infatti una forza straordinaria. Non sono interpretabili, manipolabili, come le opinioni. Sono numeri. Punto.

 

APPENDICE : LO SPREAD E LA RIDUZIONE DEL NUMERO DI PARLAMENTARI

Per dirla come un noto ex magistrato ed ex parlamentare molisano, che c’azzeccano tra di loro il caldo, lo spread e la proposta di riduzione del numero dei parlamentari? Provo a fare questo ardito passaggio. Dall’insediamento dell’attuale governo, lo spread con i bund tedeschi si è subito innalzato sopra i 200 punti, sfiorando più volte la quota 300. Segno inequivocabile della ridotta fiducia dei mercati nell’acquisto dei nostri buoni del tesoro. E d’altra parte, se autorevoli esponenti del nuovo governo dichiaravano un giorno si ed altro pure “Chi se ne frega delle regole europee sui vincoli di bilancio”, “valutiamo se uscire dalla Unione Europea ed anche dall’euro”, “sforiamo i parametri di Maastricht”, “facciamo il reddito di cittadinanza”, “fermiamo le grandi opere, chi se ne frega degli impegni internazionali presi”, “facciamo la tassa piatta”, “a quel paese gli investimenti produttivi”, e via cantando, i risultati non potevano che essere questi. Fino ad oggi questo balletto intorno ai valori alti di spread è già costato ai contribuenti italiani più di 8 miliardi di euro, per i maggiori interessi sul debito pubblico da pagare. Ed i nostri governanti, invece di occuparsi di questo, che è uno dei problemi più seri, si occupano della riduzione del numero dei parlamentari. Con un risparmio, per gli stessi contribuenti, previsto in circa 60 milioni di euro, cioè lo 0.75%, meno dell’1 per cento degli 8 miliardi bruciati con lo spread. E non vedo un giornalista, uno, che incalzi i governanti su questo aspetto. Una proposta di riduzione del numero dei parlamentari che, nelle premesse ho definito “insulsa”. E cerco di spiegare perché. La Repubblica Italiana conta 630 deputati e 315 senatori (più i senatori a vita), per un totale di 945 parlamentari eletti, cioè un parlamentare ogni 63mila abitanti. In altri paesi questo rapporto varia. Senza arrivare ai casi limite di Malta, con un parlamentare ogni 6mila abitanti, seguita dal Lussemburgo (1 ogni 10mila) e dall’Estonia (1 ogni 13mila), il caso più virtuoso mi sembra essere quello Regno Unito, con un rappresentante ogni 46mila abitanti. In termini assoluti infatti, gli inglesi sono gli unici con più di 1000 parlamentari (1432). La democrazia inglese è una delle più vecchie ed efficienti del pianeta. Non a caso non ha prodotto nessuno dei mostri del secolo scorso, come nazismo, fascismo e comunismo, che hanno fatto svariate decine, se non centinaia, di milioni di morti. Un modello dal quale imparare. Infatti, un alto numero di parlamentari comporta collegi elettorali molto piccoli. Nei quali il rapporto tra elettori ed eletti è diretto e facile. 46.000 persone sono meno degli abitanti  di un terzo di un quartiere di Roma e meno di quelli di un qualsiasi nostro capoluogo di provincia. Fare una campagna elettorale dovendosi rivolgere a soli 46.000 potenziali elettori è facile e poco costoso. Non serve nemmeno fare manifesti, comprare spot in tv, ecc. Si può fare praticamente porta a posta. Man mano che aumentano gli elettori da contattare, con l’aumento delle dimensioni dei collegi elettorali, conseguenti alla riduzione del numero di parlamentari, i costi della campagna elettorale crescono. E sono alla portata solo dei ricchi, oppure di esponenti di lobbies, o, peggio, di camarille di malaffare. Quindi una legge che riduca il numero dei parlamentari è potenzialmente criminogena. E produce un difetto di democrazia. La attuale proposta di riduzione dei parlamentari in Italia, dagli attuali 945 a circa 600, produrrebbe, ad esempio, la aberrazione che per alcune regioni minori non ci sarebbero in parlamento loro rappresentanti per il secondo e terzo dei partiti che compongono l’attuale parlamento. Ed allora perché invece di occuparsi degli 8 miliardi di maggiori interessi per spread ci si occupa di una inutile e dannosa proposta di riduzione del numero dei parlamentari? Sarà a causa dei “cambiamenti climatici”? Francamente lo spero. Che sia colpa del caldo. E che, con le temperature più fresche dell’autunno, un po’ di saggezza possa tornare.