Una breve nota in margine a Nowhere Special di Uberto Pasolini: La scena della trentaquattresima candelina, di Ludovico Fulci

Una breve nota in margine a Nowhere Special di Uberto Pasolini

La scena della trentaquattresima candelina

di Ludovico Fulci

Ci sono, a teatro come al cinema, scene “clou” che costituiscono un passaggio obbligato nella narrazione. Non a caso la scena è il momento della verità in un triangolo costituito da padre, figlio e spettatore. Il padre che sa, il figlio che teme e temendo ha capito e lo spettatore, che ha già capito, che riceve conferma di quanto ufficialmente non è ancora tenuto a sapere. A questo punto addio suspence. Dopo seguirà quel che deve seguire, in una sorta di danza lenta di fatti tutti necessari come la perdita dell’equilibrio, la vendita dell’auto e l’incontro con un’inconcludente coppia di adulti-bambini incapaci di staccarsi dai loro giocattoli (il pupazzo di peluche e il trenino). È proprio nel contrasto con la realtà dell’ambiente in cui questa coppia vive che l’urgenza di compiere la scelta matura finalmente in John (interpretato da un bravissimo James Norton), lavavetri poco più che trentenne che dall’alto della sua scala vede i giardini della periferia di Belfast, ed è fatto più filosofo di tutti noi dalla consapevolezza del poco tempo che gli resta da vivere. E nell’urgenza sceglie a chi lasciare il figlio Michael (assai efficacemente interpretato dal giovanissimo Daniel Lamont) che ama.

Un film tenero fatto di bellissimi silenzi, di sorrisi, di sguardi e di piccoli bronci da parte del bambino.

Tornando alla scena della trentaquattresima candelina, il dono della candelina è palesemente una richiesta da parte del figlio al padre: “papà, promettimi di vivere ancora un altro anno”. E il padre  non gli risponde. Vedremo dopo che poserà nella cassetta dei ricordi quella candelina, piccola nelle sue mani e molto più grande in quelle del bambino che ama il suo papà.

Ammetterò di non amare particolarmente il cinema cosiddetto sonoro. Il cinema è una narrazione per immagini, o, se si preferisce, per sequenze, nelle quali l’occhio dello spettatore dev’essere guidato a scrutare, scoprendo il senso di un gesto, che può essere lo stringere una mano in un pugno o alzare appena appena un sopracciglio. Del resto nella tradizione gran parte delle arti visive richiedono uno studio della figura umana. E certo Pasolini ne tiene conto, come dimostra il finale del film dove la differenza tra la figura dell’adulto e quella del bambino, tema dominante del film, risaltano per effetto di una felice inquadratura dall’alto in cui lo spettatore attonito capisce che è quello il momento dell’addio.