ELVIS di Fabrizio Fanelli, recensione di Paola Dei

CRITICO: PAOLA DEI

TULIPANI di SETA NERA 2023

 

ELVIS di Fabrizio Fanelli

Il cortometraggio di fiction di Fabrizio Fanelli, come racconta lo stesso regista, ha uno stile documentaristico dove si respira il sapore popolare del cinema di Pasolini. Siamo al Quarticciolo, un quartiere di Roma legato a fatti di criminalità e droga fra borgate storiche e una realtà sociale complessa. Il cineasta ci mostra un bambino che cresce per strada e che preferisce stare con gli adulti, a cui viene indicato di non guardare per terra ma di osservare il cielo, puntando in alto.

Il primissimo piano di Elvis ci mostra subito un volto schietto, innocente, mentre gli occhi spiritati di un altro personaggio che vaga fra i vicoli e le abitazioni, sembrano connotarlo di un’aura folle e preveggente che evoca il personaggio di Benigni ne La voce della luna di Federico Fellini. Leggero, buffissimo, lunare, misterioso, corporeo, mimo, che fa ridere e piangere con il fascino dei personaggi delle fiabe, delle grandi invenzioni letterarie. Rigorosamente in bianco e nero per non indulgere a composizioni cromatiche, il cortometraggio biografico mostra   ambientazione e personaggi reali dove si respira in ogni momento una realtà autentica anche se ricca di sospensioni e simbolismi. Elvis rischia di essere dimenticato da tutti, a meno che non impari a guardare il cielo. Due note predominanti accompagnano il contrasto fra le due polarità presenti nell’opera: la terra e il cielo, la realtà e il sogno. Il cortometraggio apre a nuove prospettive estetiche e teoretiche. Un film misterioso e polisemico che rimanda al grande movimento armonico degli opposti ed alla possibilità di guardare anche ciò che non possiamo vedere esplicitamente ma che ci eleva da qualsiasi realtà.