GRANDE EDO di Sebastiano Colla, recensione di Paola Dei

CRITICO: PAOLA DEI

TULIPANI di SETA NERA 2023

 

GRANDE EDO di Sebastiano Colla

Il Cortometraggio nasce da un progetto di Sebastiano Colla e Annamaria Iacopini, entrambi attori e formatori dello spettacolo che, come loro stessi riferiscono, insieme al protagonista e agli altri ragazzi dei corsi di recitazione, hanno tratteggiato un percorso professionale e umano dove si parla di disabilità ma lo si fa con un linguaggio poetico e delicato.

Nonostante le inevitabili difficoltà che i ragazzi con difficoltà incontrano ogni giorno, l’amore, l’amicizia, la solidarietà, sono strumenti fondamentali per far riuscire a superare gli ostacoli.

Fin dalle prime sequenze, infatti, il corto evidenzia ciò che lo stesso regista, con altre parole, ha descritto nella sua presentazione; il potere nulla può contro la creatività, la compassione e la simpatia per il prossimo.

Il corto tenta di portare all’attenzione il problema dell’integrazione sociale, lo fa con un impianto visivo stilizzato che definisce il personaggio in un intreccio di elementi fisici, psicologici, reali e densi di autenticità. Molto interessanti le riprese nelle quali Edo, il protagonista appare al centro della scena, soprattutto quando è sul palco e gli occhi della professoressa e dei ragazzi sono puntati su di lui. Interessanti le riprese sulle scale, metaforico luogo di unione fra più livelli. I vari momenti sono raccontati con leggerezza ma anche con l’intensità di chi comprende le proprie difficoltà nello sguardo degli altri. É in uno di questi passaggi, mentre Edo recita sul palcoscenico che avviene una trasformazione e nella rappresentazione finale si passa dalla finzione alla realtà. Lo sguardo di Edo cambia come cambiano gli sguardi di chi lo osserva. Finalmente il protagonista si lascia andare e racconta sé stesso mentre è attore e protagonista allo stesso tempo. Un cortometraggio decisamente molto stimolante e ricco di significati che con soavità affronta un tema complesso e delicato e fa comprendere che non è importante la baruffa ma lo è l’abbraccio dopo la baruffa.