ART. 27 COMMA 3, RECENSIONE DI CATELLO MASULLO
Project Title: Art. 27, comma 3
Produced by: Giovanni Meola, Virus Film
Directed by: Giovanni Meola
Distributor Information: Premiere Film, Worldwide, All Rights
Run Time: 93 minutes
Production Year: 2024
Country of Production: Italy
Synopsis:
Frutto di un laboratorio di scrittura creativa e recitazione, questo documentario, ambientato totalmente in carcere, racconta di un pugno di esseri umani costretti a lavorare in cattività, ma resi totalmente liberi dalla magia dell’incontro e della scoperta reciproca. Una libertà che ha creato vicinanza e comunanza ma anche scontri e incomprensioni. E di tutto questo si fa testimonianza questo videodiario, senza omettere praticamente nulla di quanto accaduto durante i tanti e lunghi mesi del percorso, compreso un evento tragico occorso a uno di loro, che ha fatto inevitabilmente deviare il corso del progetto stesso. Progetto che nasce dalla consapevolezza dell’esistenza dell’Articolo 27, comma 3 della Costituzione Italiana che recita ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’.
RECENSIONE DI CATELLO MASULLO: Il regista, produttore, protagonista e direttore del laboratorio teatrale in carcere, Giovanni Meola, così spiega, programmaticamente, ai suoi detenuti e agli spettatori: “Il teatro è più onesto della vita, perché è dichiaratamente finto”. Il film documenta il lungo cammino di partecipazione al laboratorio da parte dei volontari reclusi. Contiene più piani di lettura e di interesse. È molto interessante l’analisi della genesi del crimine, fatti dagli stessi criminali. Gustoso, al proposito, il racconto di uno di essi (traduco dal napoletano, per una più facile comprensione da parte dei fuori regione…): “Sono entrato in un caveau e ho detto: “questa è una rapina!”. Io stavo recitando una battuta del film THE HEATH, ma quelli mi hanno dato i soldi per davvero! Poi mi hanno preso e mi hanno dato un anno e mezzo”. Degno di nota un bel monologo contro la violenza di genere.
Curiosità, ho chiesto al regista: “Giovanni, il senso comune è “mettiamoli dentro e buttiamo la chiave”. L’argomento portato dall’Avvocato Di Cecca, quello utilitaristico per la società civile, cioè la drastica riduzione della recidiva per i detenuti impegnati in attività lavorative o culturali, è molto efficace per la gente comune, come mai non lo hai trattato nel tuo film? Poi una curiosità, nel film mi ha colpito un bellissimo monologo di un detenuto contro la violenza di genere. Come è uscito fuori? Complimenti per averlo inserito”. La risposta del regista Giovanni Meola: “rispondo per prima alla seconda domanda: quella è una poesia che ha scritto lui, una delle tante. Era forte ed è entrato anche il lato familiare. Poi non ho voluto inserire un tema o piuttosto che un altro. Partito da 85 ore di girato, un rapporto enorme con i 93 minuti finali. Le linee narrative potevano essere tantissime. Un elemento fortissimo il suicidio di Ciro, 37 enne con una figlia di 3 anni, che era il leader maturale del gruppo. Era il più artistico e riusciva a trainare gli altri. La cosa che mi ha molto toccato era che andavo di lunedì e lui si è suicidato tra venerdì e sabato. Il lunedì precedente mi aveva chiesto quando si faceva lo spettacolo. E io gli dissi che si sarebbe fatto tra le feste di natale al 90%. Lui disse che allora avrebbe chiesto il blocco del trasferimento per poter restare a Poggioreale per fare lo spettacolo. Ci sono condizioni critiche. Però, mi disse, lunedì prossimo non ci vediamo perché rivedo mia figlia. Era un incontro premiale. Ci vediamo tra due lunedì. Invece sabato mattina alle 8.35 di mattina il capo educatore mi chiama. Ciro era l’ultima persona a cui avrei pensato. Ma non l’ho voluto rendere centrale. Evento che ha deviato. Ho chiesto all’educatore di sospendere il progetto e lui mi ha detto che no, dovevo continuare. Non ho voluto trattare la recidiva. Un detenuto mi ha detto: io faccio le rapine perché mi dà l’adrenalina. Non è compito mio giudicare. Ho apprezzato molto che si sono scordati quasi subito la telecamera. Erano cose che uscivano dal confronto. Quando si arrivava a fare filosofia li lasciavo fare. Era molto interessante quello che dicevano. Il pezzo che mi piace di più è quando due di loro litigano parlando di me, uno diceva che se ero cresciuto nelle loro condizioni avrei fatto quello che ha fatto lui e l’altro diceva che non era vero, che non avevo l’indole. Io sono quello che sono per l’educazione che ho avuto. Il contesto cambia tutto. Non posso dare giudizi morali. Il tentativo è che questo articolo possa essere applicato il più possibile perché possa garantire che la persona uscita sia migliore di quando sia entrata. Non capisco come la gente non lo capisca”.
L’avv. Dario di Cecca, della associazione Antigone, per la tutela dei diritti dei detenuti, è così intervenuto a sua volta: “Mi inserisco sulla domanda, anche se non era rivolta a me. Sull’utilitarismo della rieducazione. Abbattimento della recidiva. Ci sono argomentazioni ancora più efficaci. Ogni anno migliaia di detenuti presentano denunce per trattamenti degradanti. Moltissime vengono accolte con sconti di pena. Oppure con un indennizzo economico. Anche la Corte Europea ci condanna a multe. Sarebbe meglio investire in condizioni non degradanti. Altro argomento è quello economico. Ogni detenuto costa 150 euro al giorno. Il ricorso a pene alternative costa moto meno. Costruiamo più carceri. 85.000 euro per posto in carcere. Allora meno carceri. Basta con il panpenalismo con sempre maggiori leggi penali e sempre più condanne. Il nostro codice penale è quello del 1930, del ventennio fascista. Non era abbastanza severo? Gli aggravamenti di pena”.
PREMI ALLA 27ESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL “INVENTA UN FILM”, LENOLA (LT), 2025, DIRETTORE ARTISTICO ERMETE LABBADIA, SEZIONE LUNGOMETRAGGI “ORO INVISIBILE”:
- Miglior montaggio: Raffaele Tamarindo, Giovanni Meola
- Premio del Pubblico
VALUTAZIONE SINTETICA: 7/7.5
